Trama – Il libro nero prende avvio con la città di Istanbul che si desta rumorosamente nel nuovo giorno. A svegliarsi con essa è il nostro protagonista, Galip, un giovane avvocato di Istanbul, che, dopo aver contemplato sua moglie Rüya, ancora teneramente immersa nel mondo dei sogni, si prepara ed esce di casa per andare al lavoro. L’incanto della quotidianità della giovane coppia di sposi si spezza nel momento in cui Galip, al rientro dal lavoro, non trova più la moglie a casa ad aspettarlo. Al suo posto trova solo un biglietto con poche e vaghe parole scritte al marito con una biro verde.
La donna, Rüya (che in turco significa sogno), sembra essere svanita nel nulla e per di più senza dare spiegazioni. Poco tempo dopo, Galip scopre che anche suo cugino Celâl, un famoso giornalista che scrive, tra le altre cose, una rubrica molto amata sul giornale Millyiet, è scomparso nel nulla.
Le due sparizioni, troppo relate tra loro per essere una coincidenza, si riveleranno legate l’una all’altra. Così come legate da sempre sono le vite dei 3 personaggi. Celâl e Rüya sono, infatti, fratellastri e quindi Galip e Rüya sono cugini, oltre che marito e moglie. Insieme hanno trascorso un’infanzia felice al Palazzo cuor della città, ammirando Celâl, di 20 più grande.
Per poter rivedere sua moglie, Galip dovrà mettersi sulle tracce di Celâl, ma allo stesso tempo dovrà anche compiere un percorso introspettivo nei meandri della memoria nella malinconica Istanbul.
Metagiallo
Dopo un inizio molto avvincente de Il libro nero, con il protagonista sulle tracce della moglie scomparsa, che ci lascia presagire uno sviluppo della trama da romanzo giallo, la storia rimane come sospesa, per risolversi alla fine solo a metà, in un finale aperto. In tutta la parte centrale, la narrazione procede lentamente e si alterna a capitoli estratti dalla rubrica di Celâl. È in questi capitoli, costruiti in modo tale da rispecchiare la narrazione principale, che la bellezza della scrittura di Pamuk raggiunge i suoi vertici letterari.
A poco a poco, il “classico“ romanzo giallo ci scivola tra le dita, per poi riapparire in forma metaletteraria quando Galip riflette sul fatto che gli sembra di ritrovarsi in uno di quei gialli che Rüya ama tanto leggere. Una storia nella storia. In questa vertiginosa mise-en-abyme, rappresentata emblematicamente anche in un affresco di cui narra una delle storie di Celâl, si svela l’arcano, cade il velo della finzione del narrato.
In questo metagiallo, che implode in se stesso per lasciare spazio a uno di genere superiore, lo storytelling, il processo del narrare viene esposto e posto in primo piano rispetto al narrato. In questa prospettiva metaletteraria, il protagonista riflette sulla vicenda più che mettersi fisicamente alla ricerca della moglie e si perde così in una ricerca introspettiva in cui l’indagare diventa più importante del ritrovamento stesso.
Semiotica
Gli indizi, che nel genere poliziesco conducono il detective a una pista da seguire, sono presenti in una certa misura, ma Pamuk va oltre ed eleva questi indizi a segni semiotici, e più nello specifico segni linguistici, sulla falsariga di Umbero Eco, ma con riferimenti alla filosofia orientale dei sufisti.
Partendo dalla definizione semiotica del segno come „qualcosa che sta per qualcos’altro, a qualcuno in qualche modo“, ci appare già chiaro come questo rinviare a qualcos‘altro, già di per sé lontano dall’essere univoco, possa inoltre essere diverso per ogni soggetto. Ne deriva una varietà enorme di possibili interpretazioni.
Galip, al quale vengono meno tutte quelle che un tempo considerava certezze, punti fermi non ulteriormente interrogabili, inizia appunto a metterle in discussione e a vedere dei significati nascosti e molteplici che emergono dal rimando dei segni, rimanendo così intrappolato in un regresso all’infinito.
Come intrappolato in uno dei cruciverba creati da Celâl, Galip pensa che forse mettendosi nei panni del giornalista, guardando al rinvio dei segni come lo farebbe lui, il mistero potrebbe essergli svelato.
L’identità turca
Questo gioco del camuffarsi, dell’assumere l’identità di un altro, unito all’impossibilità di essere il suo vero io, sono tutti temi cari all’autore, che ne Il Libro nero sembrano giungere alla loro apoteosi. Tutti i personaggi del libro sembrano esserne coinvolti, perché è l’identità stessa della Turchia ad essere messa in questione. Lo si capisce bene nel racconto dedicato ai manichini di legno di Mastro Bedii. L’artista era riuscito, con le sue creazioni, a catturare l’essenza dell’essere turco, ma proprio per questo i manichini vennero scartati. I turchi non volevano più essere turchi ma qualcosa di diverso, forse qualcosa di più simile all’Europa.
“Nessuno puo essere se stesso. Essere significa essere un altro”.
Perciò Galip nel tentativo di leggere le sue lettere, di trovare il suo vero io, si ritrova nelle vesti di un altro, di Celâl per l’appunto, che imita a tal punto da sostituirsi a lui nella scrittura della rubrica e viverne la vita.
A sua volta, Celâl, nel tentativo di trovare il suo vero io, si perde in un gioco di travestimenti e rimandi letterari che fa suoi nella scrittura della rubrica. Celâl quando narra prende il posto del protagonista. Così come a sua volta Pamuk entra nelle vicende dei suoi personaggi. E a sua volta lo farà il lettore immedesimandosi con i personaggi dei libri. Ci si sente travolti da questa mise-en-abyme letteraria.
La malinconia di Istanbul
Accanto al tema principale della ricerca dell’Identità del singolo, e della ricerca dell’identità collettiva del popolo turco nel suo insieme, c’è una malinconia costante che sottende un po’ tutte le opere di Pamuk. È come se il premio Nobel si facesse portatore della malinconia di ogni turco. Una malinconia, al di là della storia personale di ognuno, piena di rammarico per ciò che è andato perso: l’identità del popolo turco a causa del dissolvimento dell’impero ottomano.
La nascita della Repubblica per mano del riformatore Atatürk, le cui riforme che guardano ad Occidente, ha portato, tra le altre cose, all’abolizione dell’uso dell’alfabeto arabo, a vantaggio di quello latino. E, più in generale, alla deriva del popolo turco verso l’imitazione dell’occidente. È allora che i volti e le strade di Istanbul, hanno perso le loro lettere. Il popolo turco ha bisogno ora di ritrovare, nelle lettere latine, il mistero perduto.
Il libro nero: un romanzo che vale un Nobel
Il libro nero è un romanzo controverso, denso, ambiguo, aperto a infinite interpretazioni. Ma è allo stesso tempo un romanzo di una bellezza struggente, che valse, a ragione il premio Nobel all’autore. Il libro nero si può leggere e rileggere per carpirne il senso, ma questo scivolerà tra le dita del lettore.
Proprio come Galip, intento a rileggere in maniera ossessiva gli scritti di Celâl e dei mistici, o a ripetere la stessa storia in un regresso all’infinito, si perde nell’infinità dei rimandi, così lo stesso Pamuk, per sua ammissione, si perse nella scrittura del libro, che durò ben 5 anni. Il lettore allo stesso tempo si perderà fra le pagine de Il Libro nero.
Il mio consiglio per la lettura è di non volerlo vincolare a tutti i costi a un senso canonico, lineare e logico. Forse solo nel momento in cui il lettore si lascerà trasportare nella magia dei giardini della memoria, dalla penna elegante di Pamuk e dalla bellezza delle strade di Istanbul si potrà godere a pieno di uno dei libri più belli di questo autore.
Titolo: Il libro nero
Autore: Ohran Pamuk
Edizione originale