Il pensiero del secondo Wittgenstein.
Dopo diversi infelici tentativi di riunire in un tutto così fatto i risultati a cui ero pervenuto, mi accorsi che la cosa non mi sarebbe mai riuscita, e che il meglio che potessi scrivere sarebbe sempre rimasto soltanto allo stato di osservazioni filosofiche; che non appena tentavo di costringere i miei pensieri in una direzione facendo violenza alla loro naturale inclinazione, subito questi si deformavano. – E ciò dipendeva senza dubbio dalla natura della stessa ricerca, che ci costringe a percorrere una vasta regione di pensiero in lungo e in largo e in tutte le direzioni. Le osservazioni filosofiche contenute in questo libro sono, per così dire, una raccolta di schizzi paesistici, nati da queste lunghe e complicate scorribande.
Ricerche filosofiche
La forma frammentaria delle Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein
Dopo il successo del Tractatus logico-philosophicus, in cui pensava di aver risolto, con un approccio logico-matematico, tutti i problemi della filosofia, Ludwig Wittgenstein inizia a nutrire dubbi sul suo operato. Ritiratosi dal mondo accademico, riflette sulla prassi umana nelle sue interazioni quotidiane siano esse con gli alunni della scuola in cui insegna, o con gli operai edili, insieme ai quali costruisce una casa per sua sorella.
Inizia così a raccogliere riflessioni frammentarie, fortemente empiriche, a cui lavorerà finché la malattia che gli toglierà la vita, non gli renderà impossibile il lavoro. Il suo sforzo ultimo, messo insieme e pubblicato postumo dai suoi curatori, ci mostra un cantiere non ultimato, un insieme di “schizzi paesaggistici”.
Nelle parole dello stesso Wittgenstein, che introducono il suo lavoro, emerge la difficoltà di sviluppare in maniera assoluta e “scientifica” l’argomento trattato; e questo non ci sorprende per nulla. Per la loro natura intrinsecamente legata alla prassi linguistica umana, le sue riflessioni non possono che rimanere allo stato di “osservazioni filosofiche” spontanee, proprio perché legate al tentativo, sempre in divenire, di guardare alla condizione umana dal “di dentro” della sua prassi.
Proprio per definizione, e Wittgenstein lo ribadirà nel corso delle sue speculazioni, un metalinguaggio primo e assoluto che ci permetta di spiegare da una prospettiva somma esterna il linguaggio non esiste. Quello che possiamo fare è considerare e interrogare i singoli aspetti del linguaggio, trovare degli angoli, delle prospettive che ci diano delle indicazioni sul nostro oggetto di studio. Queste prospettive che ci lasciano intravedere ora l’uno ora l’altro aspetto del linguaggio, secondo Wittgenstein stanno tra di loro in un rapporto orizzontale, e mai gerarchico.
Critica al linguaggio etichetta
Le prime proposizioni delle Ricerche filosofiche mirano a smantellare proprio la pretesa di voler definire l’essenza del linguaggio (come se qualcosa del genere esistesse) con il suo carattere ostensivo, o in altri termini, denotativo. Cioè, quel tipo d’idea di linguaggio che si basa sulla designazione delle cose e che Sant’Agostino nelle sue Confessioni aveva indicato come modello con cui s’imparano le parole (s’indica l’oggetto e se ne pronuncia il nome). La prima obiezione di Wittgenstein si basa sul fatto che non tutte le parole vengono apprese attraverso l’ostensione (un esempio sono le parole astratte o le preposizioni).
Questo modello di linguaggio, inoltre, non tiene conto della diversità dell’uso del linguaggio umano. Il recitare una poesia, il pregare, il dare ordini in quale misura dovrebbero presupporre la denominazione delle cose? La pluralità degli usi dataci dal registro ironico, sarcastico, metaforico, performativo che fanno cose diverse con le parole, che posto hanno in un modello di comunicazione che si basa sull’univocità dei “messaggi” trasmessi, paragonabile ai segnali del mondo animale? Per Wittgenstein, questo modello primitivo di comunicazione è solo un tipo di linguaggio tra innumerevoli forme di linguaggio, o in altri termini, tra i possibili giochi linguistici.
Le immagini-esempio
Il carattere dinamico e non costringibile a un appiattimento unidimensionale del linguaggio è evocato da Wittgenstein in una bella similitudine che tira in ballo la topografia delle città. Così come le città sono sempre in evoluzione, nascono nuovi quartieri, piazze, etc. e altre zone rimangono disabitate, allo stesso modo nascono nuovi giochi linguistici e altri diventano desueti.
In effetti, tutta la stesura delle Ricerche filosofiche è costellata da immagini-esempio di questo genere (il gioco degli scacchi, la cassetta degli attrezzi, etc.). Questi esempi tratti dalla vita di tutti i giorni fanno parte della bellezza delle Ricerche filosofiche. Ludwig Wittgenstein, il maestro, guida il lettore con esempi pratici, con immagini suggestive, che stimolano la fantasia e sono perciò facilmente imprimibili nella memoria, ma anche con dialoghi dialettici in cui si oppone ad un immaginario interlocutore/allievo. E il lettore si sentirà un po’ allievo.
Seguire una regola
Un gioco linguistico ha come cornice di riferimento il seguire una regola. Questa prassi è puramente convenzionale, cioè non è dettata da nessun nesso causale, ma si riferisce al comune senso di agire degli uomini. Le regole, infatti, nascono, cambiano, si evolvono per mezzo e nella comunità. Il solo presupposto al seguire una regola è quindi la comunità stessa.
Una comunità è necessaria per supportare il gioco linguistico; non si può parlare di un gioco o di una lingua se questa è parlata e compresa da una sola persona. Inoltre non si può parlare di un gioco praticato/ una lingua parlata una sola volta, non si tratterebbe nemmeno di una regola, l’enfasi è sull’iterazione. La ripetizione e l’addestramento (si pensi a un bambino che impara a scrivere) consolidano quell’uso stabile con cui la comunità segue la regola. Uso stabile: la regola non può essere spiegata, né tantomeno definita. In altri termini la regola non si spiega, si applica! L’applicazione della regola è sempre corretta? No, ovviamente no.
Esiti imprevisti del seguire una regola
All’interno del gioco linguistico, il singolo parlante ha un raggio di azione in cui può muoversi. Il seguire la regola non è mai troppo stretto, ma lascia sempre spazio all’agire umano. Un agire che è per sua natura sempre connesso a un certo grado d’improvvisazione; quando agiamo o reagiamo a una situazione, non seguiamo un copione. Abbiamo anche la possibilità, all’interno di un gioco linguistico, di non assecondare quello del nostro interlocutore, ma di cambiare l’uso delle nostre parole.
Pensiamo a come, molto spesso, la battuta in uno sketch si basa su un cambio di registro, ad esempio dal letterale all’ironico, ma va bene anche il contrario (pensate alle battute di Sheldon in The Big Bang Theory, ad esempio); è divertente perché non ce lo aspettiamo. Il parlante che si trovava nel gioco linguistico della chiacchera umoristica da bar usa invece il gioco linguistico tecnico scientifico per spiegare il processo di ebollizione da cui si ottiene il caffè che sta bevendo. Sicuramente un esito imprevisto nelle “regole chiacchiere da bar”. È per questo necessariamente sbagliato? No, è una possibilità.
Stimolare a pensare da sé
Il proposito di Wittgenstein non è di completezza e tantomeno lo è questa breve panoramica sulle Ricerche filosofiche, in cui ho riassunto solo alcuni passaggi, certi i più rilevanti, del pensiero del secondo Wittgenstein. Nonostante si sia già detto e scritto tanto su quest’opera, essa resta un imprescindibile per gli studi di filosofia del linguaggio. Un’opera che si legge e rilegge, e che offre, con ogni microcosmo delle sue preposizioni, sempre nuovi spunti di riflessione.
Un ultimo riferimento va al mondo della filosofia tout court. Nelle Ricerche filosofiche, Wittgenstein sembra riconoscere che il ruolo del filosofo non è di “fondare” alcunché, né quello di spiegare le parole con altre parole (e a sua volta queste con altre parole) innescando un ipotetico regresso all’infinito; il compito del filosofo è, piuttosto, mostrare le cose più evidenti, che, appunto per questo, non vediamo.
Non vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé.
Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein