In questa antologia di scrittrici arabe, Valentina Colombo, studiosa e traduttrice dell’arabo, raccoglie 31 racconti brevi di altrettanti scrittrici di diversa nazionalità, tutte rigorosamente arabe. Di queste alcune sono già note, altre ancora inedite in Italia. Nella sua bella postfazione, la curatrice motiva la sua scelta e ripercorre i racconti, identificandone i temi principali. Con grande sensibilità, da donna a donna, Colombo si apre al dialogo con le scrittrici. Forte della sua conoscenza del mondo arabo, ci regala infine un breve excursus sulla condizione della donna nella produzione letteraria araba, dalle sue origini fino agli inizi del nuovo Millennio, periodo al quale risale la prima edizione di quest’antologia. Un’antologia che, a distanza di quasi due decenni e nonostante il fatto che tanta nuova letteratura sia stata prodotta da scrittrici arabe, resta un’occasione per le scrittrici di allora di farsi sentire, ma anche una buona opportunità per noi di ascoltare questa coralità di voci e vedere prospettive diverse raccolte in un unico volume, al di là dei pregiudizi, al di là del velo.
La forma del racconto breve
Anche se in generale prediligo i romanzi ai racconti, il genere del racconto breve si rivela una buona opportunità per affacciarsi da una finestra all’altra e scorgere così i microcosmi che animano i diversi paesi di cultura araba. Ne viene fuori una varietà di stile e di atmosfere. Dai racconti con atmosfere da villaggio (Zahra entra nel quartiere)a quelli un po’ più europei (Scrivi: io non sono araba!, o Il colpo), dovuto anche al fatto che alcune autrici vivono, o meglio sono in esilio, in paesi europei. Lo svantaggio dei racconti brevi, a mio avviso, è che lasciano spesso un senso d’incompiuto e, se sono particolarmente belli, la voglia di restare ancora un po’ con i protagonisti. Mi è successo, appunto con Il Colpo di Haifa Zangana che tratta della deplorevole occupazione americana in Iraq nel 2003. Avrei voluto continuare a seguire le riflessioni della protagonista irachena, dilaniata tra il bisogno di integrarsi in Inghilterra e il dolore per la sua patria, violata dagli stessi paesi occidentali in cui vive.
Scrittrici arabe: tra autrici emergenti e riconferme
La Colombo ha il merito di aver dato la possibilità anche ad alcune scrittrici in erba di far sentire la loro voce, nonostante rimangono a oggi ancora quasi sconosciute. In questa raccolta ho poi ritrovato 2 autrici che già conoscevo: Hanan al-Shaikh, di cui ho letto e amato La sposa ribelle, e Joumana Haddad, che non credevo fosse così provocatoria. Il suo racconto, che apre la raccolta, spiazza il lettore con le sue atmosfere e toni volutamente hard. Haifa Zangana, l’autrice de Il colpo, si è riconfermata una scrittrice di successo con altri libri pubblicati di recente. Particolarmente degno di nota è Party for Thaera: Palestinian women writing life del 2017, non ancora tradotto in italiano, che raccoglie le esperienze di alcune detenute palestinesi nelle carceri israeliane.
L’esser donna
Parola di donna, corpo di donna offre un punto di vista tutto femminile, su un mondo in cui gli uomini sono soliti presentare la loro prospettiva come la sola possibile. Una pluralità di voci viene fuori da questa antologia. Voci che raccontano il lor modo di essere donna. Il focus, infatti, oltre a essere la condizione delle donne arabe, è rivolto anche a temi universali. “L’essere perbene”, “il ricavarsi uno spazio tutto per sé”, sono soggetti già affrontati dalle eroine della letteratura occidentale; che le scrittrici facciano o meno riferimento a Simone de Beauvoir o Virginia Wolf poco importa. Il punto fondamentale è come questi aspetti ritornino, perché costituiscono un nodo nella condizione della donna. Al di là dell’essere un mero fatto delle singole culture, intacca lo stesso esser donna in tutte le società patriarcali. Nelle riflessioni della libanese Alima al-Kush Bsisu il destino e la donna orientale, le due condizioni: l’esser donna e il vivere in un sistema patriarcale sembrano inestricabilmente legate. Con una scrittura aulica e ricca di metafore, l’autrice sembra confidarsi su quello che è stata la sua esperienza di donna e allo stesso tempo pone una dicotomia tra l’esser donna in Oriente e in Occidente.
Il destino della nostra è di non credere alla speranza… Povera donna orientale, che cerca di scappare via ma rimane prigioniera.
Se si guarda indietro alla condizione della donna in occidente prima del diritto di voto e del femminismo, questo taglio così netto fra due mondi, non mi sembra sussistere. Inoltre, in queste riflessioni, racconta del sentirsi intrappolata nel matrimonio e del vuoto che sente ora che i suoi figli sono cresciuti, quasi che non abbia più senso il suo ruolo di moglie e madre. Penso che molte donne, anche occidentali, si possano riconoscere in queste riflessioni.
Le donne non fanno la guerra
Molte delle scrittrici di queste storie hanno vissuto situazioni difficili e hanno visto i loro Paesi in guerra. Hanno perso tanto, se non tutto. Naturalmente, questi nodi emergono tra le pagine. La scrittura è terapeutica in questo senso e molte scrivono, per loro stessa amissione, per se stesse. “scrivere racconti equivaleva nella sua essenza a vivere con i fantasmi che invochiamo, inventiamo e conosciamo. Ma io non ho mai sentito il desiderio di pubblicare….”
Colpisce la maniera in cui affrontano questi temi, con dignità ed empatia, mettendo da parte le ragioni dell’odio che invocano la vendetta. Questo fa pensare ancora una volta che probabilmente ci sarebbero meno guerre se le donne governassero. In chiusura, un ultimo disperato appello alla coscienza delle occidentali, che è anche una flebile speranza. Da donna a donna, da madre a madre:
Alle madri in Occidente che piangono i loro figli voglio dire che, purtroppo, i loro figli uccidono i nostri figli e i nostri figli rispondono loro uccidendoli. Forse è giunto il momento di unire tutte le madri del mondo per porre fine a questo caos.