Quando nel 1978 i giovani rivoluzionari di sinistra iraniani protestarono contro lo Shah di Persia e spinsero per la fine della dinastia Pavhlani, lo fecero con l’obiettivo di avere un futuro migliore per loro stessi e per le generazioni a venire. Quello che non sapevano, e che non avrebbero mai potuto immaginare, è che il peso di quelle decisioni, la deriva imprevista verso la Repubblica islamica di Khomeini, si sarebbe tramandato come una colpa di generazione in generazione. Le conseguenze di quella rivoluzione fallita e di una redenzione del popolo iraniano sempre anelata ma mai raggiunta sono la miccia da cui si innesca, e continua a bruciare, la narrazione di questo indimenticabile romanzo, Di notte tutto è silenzio a Teheran.
Trama Di notte tutto è silenzio a Teheran – I membri di una famiglia, attivisti politici di origine iraniana, si passano il testimone della narrazione di capitolo in capitolo, di decennio in decennio. Ricostruiamo così la storia di questa famiglia, composta di 5 persone, costretta all’esilio politico in Germania.
Il primo capitolo, il più lirico e nostalgico, è incentrato sulla prospettiva del capofamiglia Behsad. Viviamo con lui, ancora ragazzo, le lotte nella clandestinità, le speranze che lo hanno accompagnato nella rivoluzione del ‘79 a Teheran, ma anche la paura, per sé e per i suoi amici, di essere scoperti, di venir arrestati e infine la delusione, lo scoramento per un cambiamento politico e sociale che sembrava così vicino, e che eppure ora lo ha portato così lontano. Nel trambusto di un Iran che rivendica la sua giustizia sociale Behsad ha l’opportunità di incontrare Nahid, una studentessa, anche lei attivista di sinistra, che diventerà la sua futura moglie.
Quest’ultima gli succede nella narrazione del secondo capitolo. Con Nahid ci troviamo, dieci anni dopo, con la famiglia composta di 4 persone, già in Germania. Ed è soprattutto la prospettiva dell’esilio in Germania che emerge in queste pagine. Il senso di sradicamento, il tentativo di assimilarsi nella nuova realtà, con l’aiuto di una coppia di amici tedeschi, Walter e Ulla, il pensiero sempre rivolto alla terra natia, agli affetti lasciati, ma anche i timori di una madre, che è costretta a dover crescere i propri figli in una società che non le appartiene e non sempre comprende. E che men che meno condivide.
Sono i figli a prendere il testimone nella narrazione successiva. Prima la figlia maggiore Laleh che racconta nel 1999, poi Mo nel 2009 e infine un breve epilogo dal punto di vista di Tara, la figlia più giovane, nata in Germania. La prospettiva qui si sposta completamente verso lo stile di vita occidentale dei ragazzi, ma con quel pezzetto di cuore già da sempre altrove. Quell’empatia che dà prospettiva alle cose, ma che allo stesso tempo ferisce.
La lacerazione è il tratto distintivo delle narrazioni di Laleh e Mo. Una lacerazione piuttosto che un abbracciare due culture, perché ci si mette di mezzo il dolore tramandato di generazione in generazione di una recisione forzata e non scelta. Ci si aggiungono le ferite ancora aperte. Ci si sommano i giudizi affrettati, o meglio i pregiudizi, sempre accordati ma mai opportuni da parte di chi vede solo una parte del tutto e pretende di avere la somma visione.
L’epilogo di Di notte tutto è silenzio a Teheran, più immaginato che reale, vuole forse dare un senso di compiutezza ad una storia che ha meritato il suo happy end.
Il silenzio di Behsad
È molto intima la scrittura di Shida Bazyar. Più che narrare una storia, i personaggi registrano le loro impressioni, per lo più taciute, ed elaborano i loro pensieri in solitudine. Si ha l’impressione che ogni membro della famiglia sia un’isola a sé, come se in questa famiglia il trauma dell’esilio non elaborato, avesse lasciato un senso d’incomunicabilità incolmabile con le parole.
Una volta abbandonata la prospettiva di Behsad, uno dei personaggi più belli, viviamo solo il suo silenzio. Non ci è dato sapere come lui, ex giovane rivoluzionario, viva la sua condizione di esule. Possiamo però immaginarlo. Nei racconti della figlia maggiore emerge tutto il dolore. L’imbarazzo, forse anche la rabbia, per quel padre buono e colto, un insegnante nel suo Paese, che viene trattato con sufficienza in Germania, a causa del suo accento straniero, dei suoi errori di grammatica.
Fa male come il taglio di una lama affilata, vedere le donne della sua famiglia ritornare in visita a Teheran e lui, con Mo, fermo a salutarle per poi ritornare in quella seconda Casa forzata, più solo di prima. Ma Behsad tiene tutto per sé, trincerato nel suo silenzio, dietro quel sorriso forzato, dietro la pazienza. Così Laleh ha la sensazione di non conoscere davvero suo padre. Quando si ritrova a Teheran dopo 10 anni, le storie che raccontano i famigliari su suo padre, così degno d’onore, così buono da non far male ad una mosca, ha forse la sensazione che loro lo abbiano conosciuto meglio, di quella versione di un Behsad dimezzato che lei conosce.
Il silenzio di Teheran
La prospettiva di Laleh è quella centrale, la più importante e la più corrispondente all’autrice. Laleh, che ha vissuto in Iran fino alla prima infanzia, quando vi ritorna in visita con la madre, nota come a differenza di quest’ultima che si sente dopo tanti anni finalmente nel suo elemento, a Casa, lei sia in realtà un pesce fuor d’acqua. I posti, la lingua (che pur parla), la cultura del luogo, i più piccoli gesti e modi di fare, tutto le è estraneo. E non riesce a goderne, perché anche se il suo sguardo è quello di una tedesca in vacanza, Laleh non è una turista.
Lì c’è tutta la sua famiglia, lì c’è una parte di se stessa che vorrebbe accogliere con la naturalezza con cui la sorellina Tara si ambienta nel nuovo contesto. Laleh accoglie con stordimento il tripudio di colori, l’esplosione di odori delle spezie, l’intensità dei sapori, il frastuono delle voci che si accavallano, e il chiasso delle strade. Tutto questo le è sconosciuto in Germania.
Di notte tutto è silenzio a Teheran. Durante il giorno c’è tanto rumore. Sono così rumorose le persone dentro casa, così rumorosa la loro voce, se riguarda cose poco importanti, coì rumorosa la loro rabbia, se riguarda cose importanti. Così rumorosa la loro risata, le loro grida, così rumorose le loro frasi di cortesia che buttano fuori come se fosse respiro.
Di notte tutto è silenzio a Teheran
Lo stile di Di notte tutto è silenzio a Teheran
Man man che si srotola la matassa del tempo e ci avviciniamo ai nostri giorni, lo stile narrativo di Di notte tutto è silenzio a Teheran accoglie e accompagna questo filo temporale. Il registro evocativo e quasi epico rimane con i sogni infranti di Behsad a Teheran. Lo stile che accompagna i pensieri confusi dell’esule Nahid, che si concentra su un dettaglio, poi salta di riflessione in riflessione, ha anch’esso qualcosa di alienante. Con i ragazzi si va verso una forma di scrittura contemporanea, essenziale fino a raggiungere livelli di parlato slang e neologismi nel capitolo di Mo – una forma stilistica molto più vicina a Fuoco(2021), il secondo romanzo della Bazyar -.
Le nuove lotte in Di notte tutto è silenzio a Teheran
Con Mo nel 2009 assistiamo da lontano, dalla Germania per l’appunto, alle proteste in Iran del Movimento Verde, sostenitore del liberale Mir Hossein Mousavi.
I vecchi rivoluzionari sono stati sostituiti dai nuovi. Mo li segue ossessivamente sui social, sa pochissimo sul loro conto ma nelle sue vene scorre lo stesso sangue. E quando parallelamente si trova coinvolto nelle manifestazioni studentesche in Germania, queste gli sembrano cosi futili paragonate a quelle in Iran.
Ritorni e note (di chi scrive)
Di notte tutto è silenzio a Teheran è stato pubblicato in Germania nel 2016 e, nonostante fosse il libro di esordio della scrittrice, ha avuto, a ragione, un immediato riscontro positivo sia da parte del pubblico che della critica, che ne ha anche riconosciuto il valore assegnandole diversi premi.
In Italia arriva tardi, solo nel 2023 quando un altro successo dell’autrice, Fuoco del 2021, era già stato tradotto e pubblicato in italiano. L’anno scorso l’autrice è stata ospite alla fiera del libro di Roma Più libri più liberi e al Salone del Libro di Torino, e quest’anno Di notte tutto è silenzio a Teheran figurava tra i candidati al Premio Strega Europa. È singolare pensare che Shida Bazyar si sia pertanto ritrovata a riscuotere nuovi successi con un libro che probabilmente apparteneva già al suo passato.
Quando nel 2016 l’autrice pubblicò Di notte tutto è silenzio a Teheran i tragici avvenimenti che hanno portato alla ribalta lo slogan Woman, Life, Freedom, con la sua diffusione in un movimento di portata quasi mondiale, non si erano ancora verificati, non sapeva… ma in qualche modo era scritto. Come un eterno ritorno, come un ciclico ribollire delle nuove generazioni che accendono di nuova speranza, che sistematicamente viene soppressa senza poter chiudere quel cerchio. Senza poter garantire a Behsad un ritorno a casa.
Autore: Shida Bazyar
Edizione originale: Nachts ist es leise in Teheran, 2016, Verlag Kiepenheuer & Witsch, Köln
Edizione italiana: Di notte tutto è silenzio a Teheran, 2023 Fandango Libri, Roma.
Traduzione di Lavinia Azzone
Numero pagine: 288
Lascia un commento