Ludwig Wittgenstein: Vita e pensiero

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Ludwig Wittgenstein foto

Il ricercatore della verità

    Questo blog deve il suo nome a lui, eppure non ero ancora riuscita a rendergli il giusto omaggio. Sebbene abbia già parlato delle sue magnifiche Ricerche filosofiche, mi sembra ora un atto dovuto dedicare una pagina della rubrica Vite tra i libri al padre della svolta linguistica moderna, Ludwig Wittgenstein.

    Non conoscevo ancora la lingua tedesca quando al primo corso del primo anno di Università sentì per la prima volta parlare del filosofo austriaco. Lo sbaglio nella pronuncia della W e del dittongo -ei era, quindi, quasi d’obbligo. Lo avrei appreso in fretta che quella W ha il suono della nostra V.

    Nel corso degli anni Ludwig Wittgenstein è stato uno dei pensatori a cui sono ricorsa più frequentemente. Per quella sua mente brillante da logico matematico, per quel suo saper ritornare indietro sui propri passi, per quel suo tagliarsi fuori dal mondo ed essere allo stesso tempo uno dei più grandi conoscitori della prassi umana. È la sua forma di vita, infatti, oltre alle sue illuminanti teorie, che affascina e attrae a sé come una calamita.

    Giovinezza e studi

    Pochi lo sapranno ma il suo nome completo, praticamente inutilizzato, era Ludwig Josef Johann Wittgenstein. L’altisonanza di questo nome rimanda alle sue origini, se non nobili, sicuramenti importanti. Ultimo figlio di una ricca famiglia di origine ebraica, magnate nell’industria siderurgica con ottime conoscenze nel mondo culturale viennese, Ludwig nacque a Vienna il 26 Aprile 1889. Dimostrò subito una spiccata propensione tecnica, tanto da essere in grado a soli 10 anni di costruire da solo un modellino funzionante di una macchina da cucire.

     Iniziò la sua istruzione a casa, per poi spostarsi a Linz e in seguito a Berlino dove studiò Ingegneria, ma solo per un breve periodo. Con Berlino i suoi spostamenti, che costituiscono la cifra del suo essere sempre in movimento, erano appena iniziati.

    Ludwig Wittgenstein vagò molto di luogo in luogo, anche se Cambridge, la seconda meta successiva a Berlino (la prima fu Manchester), rimane senz’altro uno di quei luoghi che subito si associano al filosofo. Al Trinity College di Cambridge Wittgenstein giunse nel 1912, su consiglio del logico Gottlob Frege, che gli raccomandò di seguire i corsi del famoso matematico e filosofo analitico Bertrand Russel.

    Nel frattempo anche il suo focus di interesse si era spostato dall’ingegneria alla matematica e al pensiero filosofico. Una scelta vincente. Sia Russel che altri studenti rimasero subito colpiti dalla spiccata intelligenza (nonché dalla bellezza e dai modi estremamente cortesi e delicati) del nuovo studente. Russel raccontò che la sua prima impressione fu di trovarsi di fronte a qualcuno un po’ queer e che non riusciva a decidere se lo studente fosse un genio o un eccentrico. Optò per la prima opzione dopo aver letto un primo componimento filosofico del ragazzo.

    Ma qui iniziano le “bizzarrie” che contribuiscono a creare un alone di mistero intorno alla figura di Ludwig Wittgenstein. Dopo un anno e mezzo trascorso a Cambridge, Wittgenstein si recò in Norvegia. A far cosa, ci si potrebbe chiedere? A pensare, si potrebbe rispondere. Nell’isolamento volontario dei fiordi norvegesi, l’appena ventiquattrenne Ludwig visse in una casetta di legno (che costruì lui stesso) e iniziò a sviluppare, indisturbato, le sue idee sul ruolo della filosofia, essenzialmente altra dalle scienze naturali. In quella capanna solitaria nel bel mezzo del nulla, Wittgenstein tornerà più volte nell’arco della sua esistenza. 

    Lo scoppio della prima guerra mondiale

    Intanto correva l’anno 1914, le vicende mondiali ridestarono il giovane dal suo letargo sociale. Ludwig Wittgenstein tornò in gran fretta in Austria e si arruolò nell’esercito austriaco-ungarico, forse spinto dal desiderio di mettersi alla prova e di vivere un’esperienza radicale che potesse scuotere la malinconia di fondo che sempre lo accompagnerà.

    Rifiutando i privilegi che la sua posizione di ricco rampollo poteva offrirgli, combatté prima sull’estenuante fronte russo e poi su quello italiano. Quando le sorti dell’impero precipitarono avviandolo allo smembramento, venne fatto prigioniero proprio da noi in Italia. La sua prigionia la trascorse prima a Trento e poi a Cassino.

    Si potrebbe pensare che la mente brillante del giovane, in questi anni di guerra e prigionia, si sia concessa una pausa dal pensiero filosofico analitico. Invece no. Come spesso accadde con i maggiori pensatori (si pensi alle poesie di Ungaretti scritte nelle trincee) è proprio in questi anni che Wittgenstein sviluppò la gran parte delle idee che confluiranno poi nel suo celeberrimo Tractatus Logico-Philosophicus.

    A questo riguardo una breve parantesi: vi segnalo il libro Ludwig Wittgenstein e la grande guerra (Mimesis edizioni) che racconta le privazione delle condizioni di vita materiale nel campo di prigionia a Cassino e il fermento intellettuale che lo investi in quegli anni.

    Sono soprattutto le lettere (Lettere 1911-1951, Adelphi) e cartoline, oltre agli appunti che conservava nello zaino, a permetterci di farci un quadro preciso di quegli anni. Uno dei particolari di non poco conto che emergono è la profonda conversione spirituale che avvenne in lui in questo periodo e che lo portò alla radicale e, per certi versi, scellerata decisione di rinunciare alla sua eredità, oltremodo consistente, lasciategli dal padre alla sua morte nel 1913. Un ascetico nei fatti, oltre che nelle parole.

    Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein

    È così che nel 1918, quando non aveva ancora 30 anni, Ludwig Wittgenstein riuscì ad ultimare il suo rivoluzionario manoscritto, destinato ad influenzare tante menti del suo tempo fino ai nostri giorni.  Riuscì anche a farlo recapitare al Professor Russel, che per primo ne rimase impressionato. Per la pubblicazione si dovrà attendere ancora fino al 1921, quando fu pubblicato prima in tedesco e poi, l’anno dopo, in inglese con un’introduzione dello stesso Russel.

    Nonostante la sua esile costituzione di appena 80 pagine il Tractatus è un’opera monumentale. Scritto sotto forma di enunciati o preposizioni (numerate con cifre decimali così come le Ricerche filosofiche), invece che nella forma classica di saggio, è un aggregato di atomi che interagiscono tra di loro. Gli enunciati sono molto brevi, alcuni constano di una sola frase, ma la lapidarietà di questi costituisce la cifra di quell’alone di mistero che si portano dietro. In queste 80 pagine è sintetizzato tutto ciò a cui ci si riferisce quando si parla del primo Wittgenstein. Dalle stesse parole di Wittgenstein:

    Il libro tratta i problemi filosofici e mostra, credo, che la posizione di questi problemi nasce dal fraintendimento della logica del nostro linguaggio. Si potrebbe riassumere all’incirca l’intero senso del libro nelle parole: ciò che può essere detto può essere detto in modo chiaro; e di ciò di cui non si può parlare si deve tacere.

    È con il celeberrimo enunciato “I limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo” che Ludwig Wittgenstein opera la cosiddetta svolta linguistica, spostando il focus dei problemi filosofici dal piano della conoscenza a quello della relazione tra mondo e linguaggio. Un linguaggio, quello umano, al contrario di quello logico-matematico, imperfetto e limitato. I limiti del pensiero sono dovuti a quelli del linguaggio, che non è in grado di abbracciare l’intera realtà, perciò non resta altro che: “su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”. Sono queste, in ultima istanza, le sue conclusioni. E in questa sede ce le facciamo bastare, in fondo questo articolo celebra la vita del filosofo.  

    Con il Tractatus Ludwig Wittgenstein dirà di aver risolto tutti i problemi filosofici. Quegli stessi problemi che erano diventati un chiodo fisso e lo avevano “perseguitato” sin dalla sua prima giovinezza.

    La vita dopo il Tractatus

    È a questo punto, quando la sua notorietà giunge all’apice grazie alle sue rivoluzionarie tesi, che inizia la fase di silenzio filosofico di Ludwig Wittgenstein. Con la consapevolezza di aver risolto tutti i problemi filosofici, sentendo di non aver più nulla da dire, Wittgenstein decide di voltare le spalle alla filosofia e al suo ambiente culturale.

    Allora  prende una decisione, ancora una volta, insolita. Decide di dedicarsi all’insegnamento, non a quello universitario – ben si intenda – ma a quello, ben al di sotto delle sue potenzialità e del suo livello di pazienza, nelle scuole elementari. E non una scuola prestigiosa a Vienna, bensì in umili scuole di provincia sulle montagne austriache.

    Se questa esperienza, durata dal 1920 al 1926, si rivelerà un totale fiasco dal punto di vista pedagogico e umano (pare che sia stato allontanato dall’insegnamento per aver maltrattato alcuni bambini; quel che è sicuro, non riuscì a legare né con la gente del posto, né con i colleghi che non stimava) si rivelerà con il senno di poi una buona palestra di vita, che lo aiuterà nella genesi delle Ricerche filosofiche.

    Dopo questa parentesi, bisognoso forse ancora di quella solitudine che aveva trovato sui fiordi, si rifugiò in luogo in cui poté coltivare i suoi legami con la spiritualità, diventando giardiniere di un monastero in Austria. Qui restò poco e nei due anni successivi si dedicò alla costruzione di una casa per la sua amata sorella. La eco di quelle richieste abbreviate tra manovali: “martello”, “metro” risuonerà nelle sue Ricerche.

    Il ritorno a Cambridge

    Dopo questa pausa dal mondo della filosofia, Ludwig Wittgenstein riprese a riflettere sulle sue teorie contenute nel Tractatus. Complice anche lo scambio di idee intrattenuto con alcuni componenti del circolo di Vienna e la lettura dei Fondamenti della matematica di Frank Ramsey – nonché una conferenza del matematico Brouwer – Ludwig Wittgenstein iniziò, infatti, a mettere in dubbio alcune delle sue teorie, tanto da decidere di ritornare a Cambridge per poter approfondire le sue nuove ricerche.

    Ma visto che, disinteressato com’era alla carriera accademica, non aveva ancora conseguito un dottorato di ricerca, dovette prima recuperarlo per poi potersi dedicare di nuovo agli studi. E a questo punto della sua vita lo fece intensamente. Qui inizia la fase della sua vita che più assomiglia a quella di un filosofo “ortodosso”: tenne lui stesso delle lezioni, seppur dal tono piuttosto rilassato(come ricordano i suoi allievi) e scrisse, senza pubblicarli, due volumi Osservazioni filosofiche e Philosophische Grammatik.

    Di queste splendide lezioni a braccio, in cui Ludwig Wittgenstein riflette in forma dialogata sulle teorie che convergeranno nelle Ricerche filosofiche, restano gli appunti degli allievi (che ebbero la fortuna di assistervi),pubblicati postumi sotto il nome de Il libro blu e il Libro Marrone. In quest’ultimo è contenuta una genesi dei giochi linguistici.

    Qui Ludwig Wittgenstein, rinnegando le idee contenute nel Tractatus che guardavano al linguaggio partendo da una prospettiva univoca logico-matematica (più simile al linguaggio binario dei computer), si apre al pluralismo delle diverse forme linguistiche. In altri termini è corretto dire che qui nasce il secondo Wittgenstein, molto più in contatto con la parte umana di quanto lo sia il primo periodo.

    Ancora viaggi                                                     

    Il 1935 si rivelò l’anno giusto per intraprendere il tanto anelato viaggio nell’unione sovietica. Già durante il suo periodo come maestro aveva, infatti, espresso il desiderio di visitare i luoghi, che tanto aveva amato nella letteratura russa ottocentesca. Da buon poliglotta (oltre al tedesco e all’inglese parlava, con un livello minore di fluenza, il norvegese e il danese) imparò anche la lingua russa.

    Il viaggio nel Settembre del 1935 a Mosca – città che sarebbe potuta trasformarsi in nuovo luogo di residenza – restò  tale. Wittgenstein non riuscì, infatti, a ottenere un permesso di lavoro dalle autorità locali russe, che all’epoca si trovava in pieno regime staliniano. Abbondonata l’idea di stabilirsi a Mosca, Ludwig Wittgenstein si recò di nuovo in Norvegia, nella solitudine della sua casupola, per lavorare alle Ricerche filosofiche.

    Anschluss e guerra

    Nel 1937, dopo un breve soggiorno in Irlanda, ritornò a Cambridge. Questi sono gli anni bui dell’ascesa nazista, sempre più andava crescendo in lui l’angoscia per le leggi razziali, dopo l’Anschluss dell’Austria, decise, pertanto, di prendere la cittadinanza britannica. Durante gli anni della guerra, desideroso di allontanarsi dall’ambiente accademico e volendosi rendere utile con un lavoro manuale, prestò servizio ad un ospedale di Londra come inserviente.

    Dopo la guerra, nel 1947, si liberò definitivamente di quel fardello che era stato per lui il mondo accademico, dando le dimissioni dall’insegnamento.

    Wittgenstein in USA

    Su invito di un suo amico ed ex-allievo, il Professore Norman Malcolm, trascorse qualche mese in America. Del suo soggiorno è possibile leggere un resoconto molto dettagliato dal titolo Wittgenstein’s visit to Ithaca in 1949: on the importance of details (2012). Il saggio porta il nome di due professori, Trevor Pinch e Richard Swedberg, della Cornell University dove Wittgenstein partecipò ad un evento. Lo stesso Norman Malcolm d’altronde nel 1958 pubblicò un libro/ritratto di Wittgenstein pieno di aneddoti che mettono in evidenza tanto la genialità quanto il carattere difficile del suo amico.

    Eclissi di una vita meravigliosa

    Tornato in Inghilterra, Ludwig Wittgenstein, che già aveva scritto all’amico di non sentirsi bene, ricevette la diagnosi di un tumore incurabile alla prostata. Non possiamo sapere cosa passò nella mente del filosofo, e dell’uomo, al momento di questa terribile e definitiva diagnosi, ma in una lettera dice di non essere scioccato nell’apprendere la notizia ma dell’esserlo piuttosto del fatto che ci fossero dei medicamenti palliativi che lo avrebbero potuto aiutare a prolungare la sua vita e le sue indagini filosofiche.

    Il suo pensiero andò come sempre alla filosofia e la morte, forse in fondo, era per lui solo un ostacolo a poterla praticare. Lo fece finché poté, le sue riflessioni di questo periodo furono pubblicate postume sotto il nome Della Certezza (Einaudi). Inoltre lavorò all’ultimazione delle Ricerche filosofiche, ma non fece in tempo a vederle pubblicate.

    Il suo rapporto con la morte fu d’altronde sempre molto intenso. Nei suoi lunghi periodi depressivi ebbe spesso pensieri omicidi. E, forse, in qualche modo si potrebbe ritenere una componente genetica, infatti, tre dei suoi fratelli morirono per suicidio.

    Ludwig Wittgenstein si spense a Cambridge, a casa di un suo amico medico, il 29 Aprile 1951.

    Con lui si eclissò un genio, un pensatore caleidoscopico e anticonformista, ma anche un uomo dal carattere non sempre facile, sicuramente bisognoso di amore. Quello che non si spense e continua a vivere è la sua filosofia, il suo mito. Questa mia piccola biografia vuole omaggiare la sua forma di vita, unica nel suo genere.

    Cara sorella, scrivi che io sono un grande filosofo. Certo, lo sono, e tuttavia da te non voglio sentirlo dire. Chiamami ricercatore della verità e sarò contento.

    Vostro fratello Ludwig – Lettere alla famiglia (1908-1951), Mimesis Edizioni

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