Il Cavaliere Inesistente di Italo Calvino

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Il cavaliere inesistente Italo Calvino

Ancora confuso era lo stato delle cose del mondo, nell’Evo in cui questa storia si svolge. Non era raro imbattersi in nomi e pensieri e forme e istituzioni cui non corrispondeva nulla d’esistente. E d’altra parte il mondo pullulava di oggetti e facoltà e persone che non avevano nome né distinzione dal resto. 

Il cavaliere inesistente

Riassunto e personaggi

Presentandovi la trama de Il Cavaliere inesistente potrei dirvi che la storia ruota attorno alla figura di Agilulfo e che costuiè un paladino di Carlo Magno ai tempi delle crociate. Ma qui ci troviamo già di fronte ad un’inesattezza. Quel verbo alla terza persona singolare presuppone l’esistere e Agilulfo, piuttosto, non è. Se di lui si può dire qualcosa senza incorrere in troppe inesattezze, diremo che Agilulfoè il cavaliere inesistente. Agilulfo, infatti, è un’armatura bianca sfavillante, ligia al dovere e lustrissima, e, soprattutto, al suo interno è completamente vuota. Quest’armatura senz’altra materialità è tenuta su, per così dire, dalla sola forza di volontà.

Non avendo un corpo, Agilulfo non beve, non mangia, non dorme ed essendo dotato di un perfezionismo tanto grande e esasperante quant’è la sua instancabilità, gira notte e giorno per gli accampamenti assumendosi sempre nuovi incarichi ed esigendoli anche dagli, cosa che lo rende piuttosto impopolare tra i commilitoni.

Una di queste notti insonni Agilulfo fa la conoscenza di un ragazzo di nome Rambaldo, appena arrivato agli accampamenti e già bramoso di vendicare la morte di suo padre. Rambaldo si sente sperduto e trova in Agilulfo un appiglio. Il giorno della battaglia, tra il parapiglia generale, Rambaldo non solo riesce subito ad uccidere l’uomo che aveva ucciso suo padre, ma inoltre si innamora a prima vita di una donna cavaliere, Bradamante, la qual donna gli ha salvato la vita. Bradamante però non ne vuol sapere del giovane e non ha occhi che per Agilulfo.

Intanto ad Agilulfo è stato assegnato uno scudiero alquanto speciale e, si direbbe, a lui perfettamente complementare. Gurdulù, uno dei nomi con cui viene chiamato l’uomo, è uno strambo soggetto che, quasi, non sa di avere una coscienza e confonde spesso la sua esistenza con quella degli altri esseri, animati o meno.  

Ad un banchetto tra commilitoni alla presenza di Carlo Magno un giovane di nome Torrismondo lancia una grave accusa ad Agilulfo. Quest’ultimo non sarebbe un vero cavaliere in quanto il suo titolo, concessogli per aver salvato una nobildonna vergine, sarebbe basato su una menzogna. Torrismondo ritiene, infatti, di essere il figlio di questa donzella, già nato all’epoca del salvataggio.

Agilulfo è colpito nel profondo del suo essere, o, per meglio dire del suo non essere, perché se non è un cavaliere (seppur inesistente) allora non è più nulla. Parte, quindi, subito con l’obbiettivo di ritrovare la donna e dimostrarne la verginità. Dopo qualche avventura e molto cammino la ritroverà in Marocco e la riporterà in Francia. A questo punto le sorti della donna si intrecceranno ancora con quelle di Torrismondo, ma non come madre e figlio bensì in una maniera completamente inaspettata. Che ne sarà di Agilulfo? E di Rambaldo e di Bradamante?  Sicuramente il fanale sarà anche per loro un momento per riconsiderare la loro identità.

Identità

Proprio “identità” e la parola chiave di questo terzo e ultimo racconto, pubblicato nel 1959, facente parte della trilogia che va sotto il nome de I nostri antenati.

Calvino continua, come aveva già fatto ne Il barone rampante e Il visconte dimezzato, a indagare la condizione propria dell’umano e, in particolar modo, dell’uomo moderno. Ricerca che per altro rimarrà sempre una costante dell’opera calviniana, seppur approcciata da diverse angolature come, ad esempio, il rapporto tra uomo e ambiente che emerge da Le città invisibili

Ne Il cavaliere inesistente Calvino si concentra sulla tematica dell’identità, dell’esser presenti a se stessi e sulla ricerca del suo vero io.

Agilulfo è una coscienza senza un corpo, Gurdulù, al contrario, è un corpo senza una coscienza. Ma allora cosa significa davvero esistere? D’altronde anche gli altri personaggi, seppur completi di un corpo e una coscienza, fanno fatica, rifuggono da loro stessi per poi volersi riaffermare alla continua ricerca della loro vera identità.

I personaggi principali partono, ad un certo punto della narrazione, per un viaggio che possa, rispettivamente, confermare l’esistenza del seppur inesistente cavaliere e ritrovare le vere radici di Torrismondo. Il viaggio metaforico si sovrappone a quello fisico e si intreccia con quello di Rambaldo, che ne uscirà maturato, e di Bramante, che, anche lei confusa, si perde in un gioco di mascheramenti. Solo il povero Agilulfo – che nonostante sia antipatico, o proprio in ragione di ciò, ha suscitato in me una grande compassione – dovrà porre termine alla sua inesistente esistenza.

Il significato di una coscienza collettiva

L’aspetto identitario ne Il cavaliere inesistente non riguarda solo il singolo ma si rivolge anche al collettivo. Mi riferisco ai poveri abitanti del villaggio amaramente oppresso e sfruttato dai cavalieri del San Gral. Grazie allo scossone che parte da Torrismondo, riescono a cacciare i prepotenti e solo allora, imponendo la loro volontà di autodeterminazione, assumono coscienza del loro esistere.

Vedete, noi per tanto tempo si è sempre obbedito… Ma adesso abbiamo visto che si può vivere bene senza dover nulla né a cavalieri né a conti… coltiviamo le terre, abbiamo messo su delle botteghe di artigianato. […]

Neppure noi sapevamo d’essere al mondo… Anche ad essere si impara…

Il cavaliere inesistente

Questo aspetto, se vogliamo politico, nell’opera pur non essendo quello centrale, mi sembra rischiarare tutta una nuova luce su Il cavaliere inesistente, che si svolge all’epoca di guerre insensate, nate per motivi inesistenti, se non per la volontà di alcuni di farle. Ecco che con la piccola, grande vittoria del popolo sull’oppressore, anche gli alienati possono imparare ad essere.

Leggerezza e profondità

La leggerezza e briosità che aveva accompagnato i due precedenti racconti non viene affatto abbandonata da Calvino. Sulla linea stilistica del divertimento, della penna che sa intrattenere, procede anche Il cavaliere inesistente. È lo fa, soprattutto, grazie alla presenza del simpaticissimo Gurdulù, a lui si devono momenti di puro spasso, a mio parere di molto superiori ai due precedenti racconti.

Ma leggero non vuole dire superficiale, e Calvino come sempre riesce a raggiungere le profondità più nascoste del sondabile umano. In questa quête ingarbugliata e labirintica, il lettore, così come l’autore, rischia di perdersi. Ma alla fine c’è sempre la finzione narrativa a sostenerci fungendo da rete protettiva.

Questa finzione narrativa è sostenuta da una cornice sul racconto. La narrazione è, infatti, affidata a suor Teodora alla quale viene dato il compito di narrare la storia. Quest’espediente, di un narratore esterno alle prese con la scrittura, dà all’autore la possibilità di andare a briglie sciolte nel raccontare la sua personale esperienza con il tracciare i segni su un foglio bianco. Infine, è proprio in questa finzione, che è la letteratura, che l’autore perde e ritrova se stesso. 

Scheda del libro Il cavaliere inesistente

Il cavaliere inesistente riassunto e trama

Titolo: Il cavaliere inesistente

Autore: Italo Calvino

Casa editrice: Oscar Mondadori

Anno di pubblicazione: 2016

Prima pubblicazione: 1959

Numero di pagine: 124

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