Il visconte dimezzato di Italo Calvino

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Il visconte dimezzato Italo Calvino

Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra.

Sono queste le parole scelte da Italo Calvino per raccontare la genesi de Il visconte dimezzato. E con esse ci offre già la direzione per leggere, e rileggere, quello che diventerà la prima parte della sua trilogia araldica nota come I nostri antenati. Divertire, dare un significato e includere teniamole a mente queste tre parole-guida perché le ritroveremo più tardi nell’analisi che segue.

Riassunto de Il visconte dimezzato

La trama de Il visconte dimezzato è risaputa. Siamo nel 1716, il visconte Medardo di Torralba si reca in Boemia per prestare i suoi servigi all’Austria nella guerra contro la Turchia, ma non fa nemmeno in tempo ad abituarsi agli orrori dei campi di battaglia che viene subito colpito da una palla di cannone. Il visconte sopravvive ma non nella sua interezza, bensì dimezzato nella forma, in verticale, e incattivito nello spirito.

In questo stato – con una sola gamba, un solo, braccio, un solo occhio – il visconte ritorna nelle sue terre dove viene accolto con grandi onori, tutti categoricamente respinti da Menardo, che non sopporta la compagnia di nessuno, nemmeno quella dell’amorevole balia Sebastiana.

A questo stato di isolamento volontario Menardo inizia ad accompagnare un pattern di atti maligni. La sua ira si scaglia inevitabilmente sulle persone che gli stanno accanto e su tutti gli esseri animati e inanimati che popolano le sue terre: condanna a morte i suoi sudditi che hanno commesso piccoli crimini, taglia a metà per il lungo tutto ciò che gli passa per le mani, tiranneggia i contadini ed arriva persino ad allontanare la balia Sebastiana dal castello con la falsa accusa che quest’ultima abbia contratto la lebbra.

Le cose si fanno più confuse quando accanto a questi comportamenti maligni, Menardo inizia ad alternare buone azioni. Quello che pare un mistero viene ben presto svelato: l’uomo che compie buone azioni non è il Menardo cattivo, bensì la sua altra metà, la sinistra, sopravvissuta anch’essa alla guerra. Le due parti di Menardo, opposte e complementari, denominate il Gramo e il Buono convivono per un po’ sulle terre l’uno compiendo atti di cattiveria gratuita, l’altro cercando di rimediare con un eccesso di bontà, che si rivelerà anch’essa controproducente. Quando i due si innamorano entrambi della stessa ragazza, la contadina Pamela, la situazione giunge ad un inevitabile scontro.

La fine della storia la scoprirete leggendola, ma, in fondo, non è difficile intuirla. Già dalle prime battute ci è chiaro che Il visconte dimezzato non è un romanzo storico, ma si colloca piuttosto in quel genere fiabesco in cui l’impossibile diventa possibile. E poi come se non bastasse l’intendo di Calvino, lo abbiamo già visto, è divertire.

Divertire

Ma Il visconte dimezzato diverte davvero? Sicuramento il tono è brioso, il ritmo di lettura quasi musicale, grazie a quelle ripetizioni che ne fanno quasi un leitmotiv di una ballata. E poi c’è il ragazzino, il nipote di Menardo, a raccontare l’intera storia e si sa attraverso gli occhi di un bambino il mondo è sempre più innocente, più tenero.

Ma c’è un “ma”, su di me Il visconte dimezzato ha suscitato, in questa mia seconda lettura, anche tristezza. Sarà per la solitudine del giovane narratore, senza più famiglia, senza un vero punto di riferimento, se non la compagnia dell’anziano medico, che poi lo capirà il bambino stesso, non è questo gran bel personaggio. Sarà anche la devastazione provocata dalla guerra che introduce in apertura allo scenario di battaglia i cui si compie il misfatto. Sarà che la devastazione in questi nostri tempi è diventata così presente da far male.

Con tutto questo non è mia intenzione affermare che Calvino abbia fallito nel suo intendo, mi pare soltanto che Il visconte dimezzato sia uno di quei libri che all’apparenza mostrano una cosa e sotto sotto svelano un altro significato.

Dare un significato

Sul piano dei messaggi nascosti si colloca l’altra parola chiave usata da Calvino: dare un significato.

Italo Calvino – che più tardi nella sua carriera di autore riserverà grande attenzione alla semiotica in generale, e nello specifico allo Strutturalismo di Roland Barthes, giungendo a sperimentazioni letterarie quali quelle riscontrabili nelle opere Città invisibili e Se una notte d’inverno un viaggiatore – dimostra già ne Il visconte dimezzato un interesse per i segni. Intendendo con “segni” non solo quelli linguistici di cui si occupa la linguistica, ma in senso più ampio, semiotico per l’appunto, per il quale si accetta la seguente definizione: “Il segno è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità”.

Questo interesse di Calvino è particolarmente evidente nel testo, oltre che negli oggetti dimezzati da Medardo, nei segnali che tanto il cattivo quanto il buono Medardo usano per comunicare rispettivamente con Pamela e il dottor Trelawney.

L’indomani Pamela salì come al solito sul gelso per cogliere le more e sentì gemere e starnazzare tra le fronde. Per poco non cascò dallo spavento. A un ramo alto era legato un gallo per le ali, e grossi bruchi azzurri e pelosi lo stavan divorando: un nido di processionarie, cattivi insetti che vivono sui pini, gli era stato posato proprio sulla cresta.

Era certo un altro degli orribili messaggi del visconte. E Pamela l’interpretò: «Domani all’alba ci vedremo al bosco».

Calvino parla, poi, di un significato contemporaneo dell’opera. Questo ci porta alla terza e ultima parola chiave: inclusione.

Inclusione

Appare ben chiaro durante la narrazione, Calvino si rivolge a tutti, ieri come oggi, sapendo di poter raggiungere la vastità dell’Umanità perché è nell’essere proprio dell’Uomo, forse soprattutto contemporaneo, di sentirsi mancante, incompleto. Ma questo messaggio non vi sembra forse l’essenza stessa dell’inclusività?

Medardo ritorna dall’esperienza traumatizzante della guerra dimezzato. Lo è fisicamente, certo, ma lo è anche mentalmente. Come potrebbe essere il contrario dopo l’esperienza devastante della guerra? Italo Calvino stesso, che ha vissuto quest’esperienza, lo sa bene che si ritorna sempre un po’ a metà. Ma non è solo la guerra, come dice il piccolo narratore:

Io invece, in mezzo a tanto fervore d’interezza, mi sentivo sempre più triste e manchevole. Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.

Ad uno sguardo più ampio possiamo notare come sia, non solo la condizione di Menardo, ma anche quella degli altri personaggi rappresentata come manchevole e come questo porti ad un’emarginazione degli stessi. Menardo, dall’incidente in poi, viene etichettato con epiteti che ne sottolineano, non solo la crudeltà, ma anche la menomazione, la zoppia. Ma lo stesso discorso vale per la comunità degli Ugonotti, perseguitati per la loro fede religiosa e per i malati di lebbra, marginati e ghettizzati per la loro malattia. Da questo discorso non è nemmeno esente il nipote di Menardo, il piccolo narratore orfano figlio di un’unione “proibita” tra la sorella di Menardo e il guardiacaccia. Anche lui vive come un escluso alla corte.

Per questo Il visconte dimezzato – come anche il Barone rampante – è un libro che sa ben delineare il sentimento del singolo che si ritrova disconnesso dalla comunità che lo circonda, il sentimento di colui che vuole appartenere ma si sente sempre un po’ tagliato fuori. Calvino anche per questo suo cogliere il vero senso della parola inclusione prima che divenisse un tema importante per tutti, si rivela non solo un grande autore, ma anche un visionario.

Scheda del libro  Il visconte dimezzato

Il visconte dimezzato analisi riassunto e trama

Titolo: Il visconte dimezzato

Autore: Italo Calvino

Casa editrice: Oscar Mondadori

Anno di pubblicazione: 1952

Numero di pagine: 92

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