Intervista alla scrittrice Anna Prandi

  • Tempo di lettura:9 minuti di lettura
anna prandi foto

Per la rubrica “Incontri e Interviste” del Blog Giochi linguistici, abbiamo il piacere di avere con noi la scrittrice Anna Prandi.

Una laurea in Filosofia e una passione per i libri che ha saputo trasformare in professione, Anna Prandi è stata per anni la direttrice della Biblioteca “A. Loria” di Carpi, la sua città natale. Sempre nella sua città, è stata l’ideatrice della Festa del racconto. Nel 2024 arriva l’esordio nel mondo della narrativa con il suo romanzo Sono qui per le amarene. Un romanzo delicato e profondo che racconta dalla prospettiva innocente di una bambina, Paola, uno spaccato dell’Italia del dopoguerra nella bassa parmense.

Le abbiamo rivolto una serie di domande, alle quali l’autrice ha gentilmente risposto per voi lettori.

Abbiamo avuto il piacere di recensire il suo bel romanzo d’esordio Sono qui per le amarene, pubblicato da Mimesis Edizioni, per le quali, tra l’altro, aveva già pubblicato un suo saggio Letture francescane. La biblioteca dei Minori Osservanti di San Nicolò di Carpi nell’anno 1600. Con il passaggio dalla forma saggistica a quella narrativa, ha saputo dimostrare una grande versatilità di stile. Vuole spiegare un po’ com’è avvenuto questo processo di passaggio da un genere all’altro?

Il passaggio di stile è stato immediato, spontaneo, non mi sono neppure chiesta come avrei scritto questo romanzo. È accaduto tutto in modo semplice, come se fosse già tutto pronto e io dovessi solo metterlo sulla carta. I primi capitoli li ho scritti al mare, su un quaderno che portavo con me nella borsa, in mezzo ai costumi. Non sentivo niente dei rumori che mi circondavano sulla spiaggia, ero io e la scrittura, con le storie che volevo raccontare che fluivano sulla pagina.

Dietro ogni scrittore c’è innanzitutto un lettore. Quanto le sue letture, e direi anche il suo mestiere di direttrice di biblioteca, hanno poi influenzato la Prandi scrittrice?

Amo leggere. I libri fanno parte della mia vita. Sono una passione, un rifugio, una consolazione. Leggo molto, ma sono una lettrice lenta, riflessiva, che sottolinea a matita, che ritorna più volte sulle stesse pagine. Ci sono dei libri un po’ rovinati sui ripiani della mia libreria, con le pagine arricciate perché sono caduti in acqua oppure con la copertina sbiadita. Nei casi estremi cerco di ricomprarli, ma la copia vecchia la tengo perché ci sono le annotazioni a matita sui margini che mi piace rileggere ogni tanto.

Con riguardo agli autori che ci portiamo dietro, mi è sembrato di percepire, in termini di temi e atmosfere, una certa influenza pavesiana nel suo romanzo. Innanzitutto il tema della festa, presente nel suo romanzo nella forma emblematica del luna park; inoltre quel “fare i conti con gli strascichi della guerra”, ancora così viva nell’Italia del dopoguerra. E poi i luoghi. Le zone della bassa parmense non sono le Langhe, ma quella forza che emana dalla terra, l’alternarsi ciclico delle stagioni, il dare ai campi con il sudore della fronte e il ricevere come ricompensa i suoi frutti mi hanno ricordato il Pavese bucolico, se vogliamo, de La luna e i falò.

I romanzi di Pavese ma anche le poesie, fanno parte di quei libri rovinati per le troppe letture che ho descritto prima. Credo che La luna e i falò sia uno dei mei testi di riferimento, ma anche La casa in collina.

Ho ambientato il mio romanzo nella bassa parmense, in una di quelle comunità raccolte sotto agli argini dei fiumi che resistono ancora oggi agli assalti della modernità. Sono mondi chiusi, rurali, con una loro struggente bellezza. L’analogia con le Langhe pavesiane si può trovare nei paesaggi fermi nel tempo, nel lavoro umile della terra che forgia i caratteri della gente. Ma anche nella violenza che costituisce l’aspetto in ombra del mondo contadino, senza il quale non si capiscono le radici profonde delle storie di questi paesi.

Due sono gli aspetti dello stare insieme delle persone che ho voluto raccontare: raccogliersi intorno a un tavolo per mangiare i cibi della tradizione secondo i modi tipici di queste terre, come ad esempio l’accoglienza degli uomini sulla soglia di casa offrendo una tazza di anolini caldi immersi nel vino rosso e anche il cantare le arie di Verdi o di Puccini con l’accompagnamento della fisarmonica o dell’armonica a bocca.

Poi c’era il piacere di raccontare delle storie, di ritornare mille volte sugli stessi ricordi anche per fare pace con il dolore e poco alla volta dimenticarlo.

A proposito di luoghi. Per quanto il romanzo possa appartenere al genere della fiction, è evidente che i luoghi descritti sono perfettamente interiorizzati da chi scrive, tanto da creare un effetto nel lettore quasi di nostalgia per delle terre che – almeno nel mio caso – non conosce personalmente. Mi sembra di capire che quelli sono i luoghi cari all’autrice. Vuole parlarcene?

Nei luoghi che ho descritto nel romanzo viveva la famiglia di mia madre e nella casa dei nonni materni ho trascorso le mie estati fino all’inizio del liceo. Le storie e i personaggi che ho raccontato nel romanzo sono ispirati a vicende che ho vissuto o che ho sentito raccontare. Certamente si tratta di paesaggi e legami interiorizzati in quanto costituiscono il mio mondo affettivo al quale sono particolarmente legata.

Sebbene il romanzo sia molto incentrato sul punto di vista di Paola, Sono qui per le amarene ha un certo aspetto corale, per via della molteplicità di personaggi, ben tratteggiati e attivi nella storia, che popolano le pagine del libro. Ad esempio, è proprio attraverso le narrazioni di altri personaggi, in particolar modo quelle degli zii e del padre di Paola, che il lettore si confronta con i drammi della guerra. Drammi che Paola conosce solo per vie traverse, quando cerca di dare un senso ai discorsi degli adulti.

È soprattutto la tragica vita dello zio Aldo a portare le conseguenze delle due guerre mondiali. Una vita, quella di Aldo, che non riesce a redimersi nemmeno in seguito. Il messaggio da ricavarne sembra quasi essere che se la vita contadina è, da un lato, benevola e conviviale, dall’altro sfianca e abbrutisce un’anima in pena come quella dello zio Aldo. Vede un po’ di questa dicotomia nel libro e, quindi, anche nel mondo contadino d’allora?

Il mondo contadino aveva tanti modi per proteggersi dalla brutalità del caso e della sfortuna, come attenersi al calendario delle stagioni per le coltivazioni, rispettare la ritualità delle feste, ammantare di sacralità l’allevamento degli animali o la protezione dalle piene dei fiumi. Però il male era in agguato e poteva colpire tutti. Nella disgrazia si poteva contare sulla vicinanza degli altri, era questa la forza di comunità così ristrette, anche se a volte non era sufficiente per salvare le persone o le famiglie dalla rovina. Il personaggio di Aldo ne è un esempio.

C’è un altro aspetto del suo romanzo su cui vorrei richiamare l’attenzione. Mi riferisco al tema della spiritualità. Corre sottile, eppure abbraccia tutta la narrazione. Una religiosità incarnata da Don Luigi e fatta sua, con le sue personalissime leggi, dalla nonna di Paola. Che posto trova questa spiritualità nel mondo rurale di Gina e, quindi, nel romanzo?

La vita di questa gente era intrisa di spiritualità, o forse meglio, di senso del sacro. Ne ho descritti alcuni esempi nel romanzo. Aggiungo anche l’aspetto della ritualità che accompagnava tanti aspetti del lavoro e della vita.

La dedica a suo zio Giuseppe Tonna non passa inosservata. Immagino sia stata una presenza importante per lei. Forse come lo è zio Giovanni per Paola?

Ho dedicato il romanzo al fratello di mia madre, Giuseppe Tonna, perché grazie a lui ho iniziato ad amare i libri quando avevo otto anni e poi, più avanti, anche il latino e il greco. Per molti aspetti ha ispirato il personaggio di Giovanni nel libro. Giuseppe Tonna è stato un poeta e un grecista.

Dopo questo bell’esordio speriamo di poter leggere presto un suo nuovo libro. Qualche progetto in cantiere? Pensa di rimanere sulla narrativa?

Sto scrivendo il secondo romanzo che ho ambientato negli stessi luoghi del primo, alla fine degli anni sessanta. I protagonisti sono due ragazzi che si incontrano in un momento decisivo per le loro vite.

Lascia un commento