Cesare Pavese: La bella estate

La bella estate di Cesare Pavese trama e recensione

Trama – Ginia, la protagonista de La bella estate, è una ragazza di 16 anni impigliata in una vita alquanto ordinaria: lavora come aiuto sarta e si prende cura della casa e del fratello, con cui vive da sola poiché i genitori sono morti. Questa parvenza di vita adulta non corrisponde però allo stato emotivo di Ginia, che vive nell’attesa, sognando, in maniera un po’ ingenua, per sé qualcosa di straordinario. Nei suoi piccoli svaghi, fatti di uscite, si accompagna a Rosa, alla quale si sente superiore, finché non si rende conto che tutte le sue amiche si sono iniziate, in quell’estate, alla vita sessuale.

A un certo punto, Ginia cambia compagnia e inizia a frequentare Amelia, una ragazza più grande, disinvolta e dominante, che lavora come modella per pittori per lo più squattrinati. La nuova amicizia si basa su una tacita accettazione da parte di Ginia: Amelia conduce, Ginia la segue. E questa la condurrà in un mondo del tutto nuovo per la ragazza, fatto di sale da caffè e frequentazioni di un duo di pittori, Rodrigues e Guido, dalle abitudini piuttosto bohémien. Proprio di quest’ultimo s’innamorerà la giovanissima Ginia, diventando vittima di un mondo che non le appartiene e che, priva della spigliatezza senza freni necessaria, non sa gestire.

La bella estate di Cesare Pavese è un racconto di speranze infrante, di attese disattese. Un’ardente promessa di felicità si respira nell’aria dei giorni estivi, di grandi cose a venire. Una promessa che si affievolisce man mano che l’inverno arriva, fino a quando una gelida e indifferente coltre di neve spegne anche l’ultima flebile speranza.

 La bella estate significato: un classico, un film

L’ambientazione de La bella estate è probabilmente la Torino degli anni ’30, ma questa informazione non apporta niente al senso del racconto, che parla piuttosto di sentimenti universali e senza tempo. Il suo significato, lontano dalla contingenza di un’estate in particolare, va ricercato piuttosto nell’universalità della stagione della vita più carica di promesse: l’adolescenza che vuole prendersi la vita. La bella estate, che valse a ragione il premio Strega all’autore, si presenta perciò come un classico sempre attuale, lo anima il desiderio umano di sentirsi amati, che scivola piano e inesorabile verso la disillusione, l’umiliazione e la derisione. Cesare Pavese, in questo, è Ginia, ma è anche tutti noi.

Non stupisce perciò l’adattamento cinematografico del 2023 della regista Laura Luchetti, con Deva Cassel nei panni di Amelia.

Il disagio

Proprio nel campo semantico di questi due ultimi termini “umiliazione” e “derisione” rientra la parola che più spesso compare ne La bella estate: “scema”, alternata a “stupida”. Questa parola chiave è all’inizio del racconto la cifra del tentativo di Ginia di distinguersi dalle altre ragazze, da quelle che non sanno comportarsi da adulte. All’inizio, infatti, è Ginia che definisce le altre sceme. Nel corso del romanzo l’epiteto le si appiccica addosso sempre più, sia che si tratti di Amelia ad apostrofarla così, sia che si tratti di lei stessa a autoimporselo, quando sente di essersi comportata in maniera inappropriata.

L’epiteto raggiunge però il suo apice quando è Guido, in una situazione per lei  estremamente imbarazzante, a darle della scema. Questo epiteto è lo specchio del sentire di Ginia, che si sente in imbarazzo per il proprio corpo ancora minuto e adolescenziale in contrapposizione alla femminilità prorompente di Amelia. È allo stesso modo la cifra del disagio verso un mondo squallido, rispetto al quale però lei, condizionata dalla sua insicurezza, si sente inadeguata. È il dubitare delle sue proprie azioni.  

Capiva di essere stata lei stupida. Era lei che aveva voluto far la donna e non c’era riuscita.

Ma più ci pensava e più capiva che sarebbe tornata lassù. Era per questo che si disperava: perché sapeva di aver fatta una cosa ridicola che una donna alla sua età non doveva più fare. Sperava soltanto che Guido fosse offeso con lei e non cercasse più di abbracciarla. Si sarebbe pestata perché, gridandole Guido qualcosa gíu dalla scala, lei non aveva ascoltato se le diceva di tornare. Per tutta la sera, nel buoi del cinema, pensò con male al cuore che, qualunque cosa decidesse al momento, tanto ci sarebbe tornata. Sapeva che quella voglia di rivederlo e di chiedergli scusa e dirgli che era srara una stupida, l’avrebbe fatta ammattire.

P. 51 da Le bella estate di Cesare Pavese

“Conducimi tu”

La bella estate è visto come un racconto di formazione per quel suo aspetto di un’adolescenza che entra nel mondo adulto. A mio parere non si può nemmeno parlare di una maturazione del personaggio di Ginia, o almeno non in positivo. Crescere significa a volte sapersi tirare indietro, da una situazione degradante, senza farsene una colpa. Il personaggio alla fine sembra piuttosto accettare la disillusione dell’amore e dell’amicizia in una rassegnazione passiva che è un continuare a subire. Nell’ultima scena, pur di evadere dalla monotona routine in cui si sente imprigionata, riprende le cattive abitudini e rimane alle dipendenze di Amalia. “Andiamo dove vuoi, conducimi tu”.

Cesare Pavese, che aveva riassunto il suo romanzo breve come “una verginità che si difende”, sa condensare in queste poche pagine tutta la disillusione nei confronti della vita, che tristemente lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni.

Riassunto la bella estate

Titolo: La bella estate

Autore: Cesare Pavese

Casa editrice: Einaudi

Anno di pubblicazione prima edizione: 1949

Numero pagine: 122