
Miramar, che dà il titolo a questo evocativo romanzo breve del premio Nobel Nagib Mahfuz, è il nome della pensione/scenario attorno al quale si dipanano le vicende dei protagonisti nell’Alessandria d’Egitto degli anni ’60.
La pensione, un tempo elegante e rinomata, appare ora spoglia e desolata, in uno stato che ne annuncia la sua decadenza. In questo sembra seguire le sorti della sua proprietaria, la signora Marianna. L’anziana donna, una vedova di origine greca, vive in lotta con il tempo tiranno che l’ha privata non solo della giovinezza e dell’agiatezza, ma anche della speranza di essere felice con suo marito.
Ma una nuova scintilla di speranza si accende nell’inverno alessandrino. Alla pensione compare improvvisamente un vecchio cliente e amico di Marianna, il giornalista Amer Wadgi. L’anziano è arrivato alla pensione per restarci. Vuole, infatti, trascorrere in compagnia di Marianna gli ultimi anni della sua vita. Quello di Amer non sarà l’unico arrivo, a lui succedono una serie di nuovi ospiti che andranno a riempiere la pensione ridandole nuova vita e riaccendendo quella luce che sembrava essersi spenta.
Gli ospiti non potrebbero essere più eterogenei: un melting pot di diverse generazioni e classi sociali della vecchia e nuova Alessandria. Vecchi e giovani, ricchi e poveri sembrano tuttavia trovare una loro perfetta armonia, soprattutto quando si riuniscono attorno alla radio ad ascoltare la celebre cantante Umm Kalthum – la cui melodia “versa miele puro sulla fatica di vivere” –.
L’apparente convivenza armoniosa si rivela ben presto illusoria. Suo malgrado, la bella contadina Zahra (fiore in arabo), a servizio nella pensione, sarà la miccia, da cui si innescheranno, come una bomba pronta ad esplodere, gli istinti e le brame dei pensionanti.
Nagib Mahfuz ci regala, in questo romanzo dalle atmosfere intime e malinconiche, un affresco di struggente liricismo della città di Alessandria d’Egitto. Per farlo sceglie di ambientarlo in inverno, quando il brio dell’estate e la vitalità dei villeggianti lasciano il posto alla malinconica desolazione e alla nostalgia per l’estate trascorsa. Alessandria allora diventa metafora dei tempi, e del tempo, quello dell’Uomo che vive la sua fase decadente.
Gli amici se ne sono andati, e il loro tempo con loro. E io non ti conosco, Alessandria d’inverno. Il tramonto svuota le tue strade e le tue piazze, in cui folleggiano il vento, la pioggia e la desolazione, mentre le tue stanze si riempiono di confidenza e di veglia.
– Miramar di Nagib Mahfuz
Miramar: Un romanzo con 4 punti di vista
Grazie all’uso di una narrazione a più voci, viene concesso al lettore di conoscere meglio i personaggi, di avere una prospettiva sulle loro impressioni sugli stessi fatti, su ciò che pensano ma non dicono. E poiché la purezza dei pensieri non sembra appartenere a questo mondo, non può esserci risparmiata una visione diretta della loro falsità e del loro opportunismo.
Alle voci narranti dei tre giovani ospiti, unite alla voce narrante principale del vecchio giornalista, manca, però, la voce delle due donne. Eppure sarebbe stato bello leggere il punto di vista della signora Marianna o di Zahra. Soprattutto quello di Zahra, sarebbe stato molto interessante, e le avrebbe conferito, a livello metaletterario, quella libertà di autodeterminazione che la ragazza, con tanta caparbietà e dignità, cerca.
I personaggi e il loro posto nella nuova Alessandria
È nella caratterizzazione dei personaggi che si rivela la maestria di Nagib Mahfuz nel costruire l’allegoria inscenata al Miramar. Ogni personaggio rappresenta un ceto sociale e con esso il suo ruolo nella nuova Alessandria:
- Zahra è la contadina senza istruzione (ma che ambisce ad averla)
- Sharan al-Buheyri è il campagnolo laureato con ulteriori ambizioni di ascesa sociale
- Hosni Allam è il latifondista nullafacente
- Tolba Marquz èl’aristocratico impoverito a causa della confisca dei beni
- Mansur Bahi è l’intellettuale con il fratello ufficiale
- Marianna è la straniera decaduta
Con il personaggio di Zahra, Nagib Mahfuz si supera e gli si può perdonare l’assenza della ragazza come voce narrante. Nonostante non abbia una sua voce, infatti, la presenza di Zahra è palpabile in ogni narrazione degli uomini e, soprattutto attraverso i dialoghi, la si può quasi sentire urlare la sua volontà: “Devo vergognarmi se voglio una vita dignitosa?”
Qui sta il grande merito dello scrittore egiziano: aver creato un’eroina straordinariamente semplice la cui “colpa” sta nel non accettare il suo destino di donna araba povera. Zahra vuole emanciparsi dal suo ceto sociale, dalla famiglia che l’ha promessa in moglie ad un uomo più grande e da quella società di uomini, fatta per gli uomini, che la vuole ridurre ad oggetto sessuale. Amer Wadgi, unica eccezione in questa schiera di maschilisti, volge il suo sguardo benevolo e ammirato sulla ragazza e non può fare altro che pregare Dio che la preservi.
Ad Amer, altro grande protagonista del romanzo, è riservata la voce narrante più bella. Amer Wadgi con i suoi 80 anni, la sua professione di giornalista e l’attivismo nel Wafd (partito nazionalista liberale) vede con lucidità come la rivoluzione non sia sfociata in altro che nel riassorbimento delle vecchie correnti. Lui mi sembra rappresentare l’anima di Alessandria, di cui porta con sé la memoria.
La memoria di un’Alessandria fiorente, crocevia culturale e commerciale con il suo porto sul mediterraneo, sebbene sottomessa al protettorato inglese, ma che ora è, come il corpo dell’anziano, tristemente decaduta e melanconica. Amer ha soprattutto l’esperienza e la conoscenza per soppesare la situazione politica dell’Egitto, che osserva da outsider senza più prenderne parte attivamente. Lui nella sua gioventù ha già vissuto una Rivoluzione, con i suoi sogni e promesse, quella che portò nel 1922 all’indipendenza dell’Egitto e al successivo, parziale ritiro dell’occupazione britannica.
Il contesto socio-politico al tempo di Nagib Mahfuz
La vecchia e la nuova Alessandria, le divide una seconda Rivoluzione, quella del 1952. La conseguente fine del regno del filo-britannico Re Faruq e l’ascesa al potere degli ufficiali, con il pan-arabico colonnello Nasser, fanno sperare il popolo egiziano che si possa realizzare il sogno di un’unica nazione araba, riunificazione dello sgretolato impero Ottomano.
Queste idee sono vicine al Comunismo e ci ricordano che negli anni ’60 siamo in piena guerra fredda, l’Egitto e tutto il Medio Oriente non ne sono esenti. Di guerra fredda se ne discute anche fra gli ospiti della pensione. L’ex-ricco vorrebbe un governo vicino all’America.
Al contrario, i nuovi arricchiti di estrazione popolare, che hanno beneficiato della Rivoluzione, la inneggiano. Anche se in un passaggio chiave Sarhan al-Buheiri, l’arrivista partito dal basso, ricorda con un vecchio compagno come: «allora eravamo nemici dello Stato. E oggi lo stato siamo noi.»; un promemoria anche per noi, il potere sembra solo spostarsi di mano in mano, senza cambiare nella logica di oppressione.
Anche Zahra, di umili origini, è una sostenitrice della Rivoluzione e vorrebbe farne parte, raccoglierne i frutti. Lo vorrebbe, ma è una donna e la Rivoluzione tristemente non sembra aver portato alcun miglioramento sociale per le donne. Ma Zahra è un fiore campestre, tenace e resiliente, che si piega ma non si spezza. Il suo riscatto lo cercherà, maturata nella consapevolezza di sé, al di fuori del Miramar nella nuova primavera che si apre su Alessandria.
La scrittura è stata creata per chi ha cervello e il buongusto non certo per i frequentatori di bettole… è una vita che camminiamo sulla scia dei nuovi arrivati, che hanno imparato la professione al circo e hanno rovinato il giornalismo, a forza di fare gli equilibristi…
– Miramar di Nagib Mahfuz

Titolo: Miramar
Autore: Nagib Mahfuz
Edizione originale araba: Miramar, 1967
Prima edizione italiana: 1999
Edizione letta: 2010, Universale economica Feltrinelli
Numero pagine: 164