
Ci sono libri di esordio che fanno subito capire che è meglio intraprendere un’altra strada, altri sono un po’ una falsa partenza come se dicessero “lasciatemi una seconda chance, farò meglio la prossima volta”, altri, ancora, più promettenti ma mancanti di esperienza, lasciano già intravedere uno scorcio della grandezza futura. E poi c’è un’altra categoria, di cui fanno parte i pochissimi eletti, in cui il genio, o il talento, erompe con una tale potenza e forza di sopraffazione sulla mancanza di esperienza, da annullarla in un sol colpo.
Satantango appartiene chiaramente a quest’ultima categoria. Un appena trentenne László Krasznahorkai – all’epoca della prima pubblicazione siamo nel 1985 – fa parlare di sé, diventa un caso editoriale, poi, un classico. Seguiranno altri romanzi, altri successi, la vittoria di meritati premi come il Man Booker international prize nel 2015, eppure Satantango resta il punto di partenza. Una partenza che ha trovato la sua meritata consacrazione con l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura 2025.
Trama – Uno scenario apocalittico avviluppa nel suo soffocante morso i personaggi di questa storia. I pochissimi abitanti rimasti nello stabilimento dismesso, un tempo fiorente cooperativa agricola dell’era comunista, sembrano proprio questo: dei sopravvissuti, nello spirito e nel corpo, ad un’apocalisse.
L’apocalisse che si è abbattuta nel piccolo villaggio delle sperdute campagne ungheresi ha la forma di un progetto naufragato, di occasioni perse e di una negligenza umana che si trasforma in degrado. In questo degrado si ritrovano costretti a sopravvivere, invece che vivere, e cos’altro potrebbero fare? La vecchia fabbrica è ormai in disuso, le case sono in uno stato di disfacimento avanzato e i sentieri non asfaltati sono, a causa delle incessanti piogge autunnali, delle poltiglie di fango difficilmente percorribili. I più se lo chiedono ripetutamente cosa siano rimasti a fare e Futaki non è un’eccezione. Vorrebbe fuggire, ricominciare in un altro luogo, ma gli manca la spinta decisiva.
Questo stato di inerte trascinarsi a campare diventa un’attesa tangibile, forse una speranza, allorché alla piccola comunità viene annunciato l’imminente arrivo di Irimiás, un membro del collettivo tenuto in gran conto e che tutti credevano morto.
In questa attesa speranzosa di colui che è visto come il salvatore delle loro tristi sorti, la piccola comunità si riunisce all’osteria, trasformando l’incontro in un momento di comunione. Nelle lunghe ore di attesa il gruppo di disperati mette pian piano da parte le incomprensioni, le divisioni e tutti i dissapori in un’apoteosi che coincide con le note di una fisarmonica e un ballo appassionato, il “tango di satana” del titolo.
Irimiás, infine, arriva con al suo seguito il fidato amico Petrina. Così come si attende da lui, promette una redenzione alle tristi anime, predisposte, per disperazione, a credere ad ogni sua parola, ma se le sue intenzioni siano oneste è tutto un altro discorso. Irimiás non è il Messia che stavano aspettando, la redenzione degli ultimi non è cosa di questa terra. La disperazione chiama disperazione ed è un tunnel da cui non si esce, la speranza è solo un’illusione, questo lo capisce bene Futaki. Ma anche il dottore, alienato spione al di fuori del gruppo, anello che congiunge i due estremi del cerchio.
La disperazione
Quando a volte incrociava qualcuno, gli passava accanto col capo chino, perché sentiva che se avesse visto riflettersi in quegli occhi estranei la propria miseria sarebbe diventato ancor più disperato.
– Satantango
Se la parola chiave del romanzo Melancolia della resistenza sembrava essere, appunto, “resistenza” e la sua controparte “rassegnazione”, qui in Satantango la trama si costruisce attorno al termine “disperazione” e al suo contrario “speranza”. Quasi a passo di danza i sei capitoli della prima parte portano gradualmente verso un centro, che tematicamente possiamo definire “carico di speranza”, per poi allontanarsene simmetricamente ma in ordine inverso con i 6 capitoli della seconda parte, dove è la disperazione a prendere il sopravvento. Questo tango letterario, poi, potrebbe procedere all’infinito, grazie alla parte finale che riproduce l’incipit legando fine e inizio del libro come due estremità di un cerchio.
László Krasznahorkai, in questi suoi due libri, rivela un pensiero compatto e unitario. Sebbene la trama differisca, si ha l’impressione di seguire lo stesso filo di pensiero. In fondo le due coppie terminologiche proposte – resistenza e rassegnazione; disperazione e speranza – sono complementari c’è resistenza finché c’è speranza, la sua assenza è portatrice di una disperazione che è anche rassegnazione. Per questo suo saper scavare nella desolazione dell’umano e nelle dinamiche del potere, non solo quello coercitivo, ma soprattutto quello che si insinua nei rapporti tra uomini, László Krasznahorkai si conferma l’autore dell’umanità alienata, sempre sull’orlo della distruzione.
Per questo i suoi connazionali ungheresi lo trovarono così empaticamente vicino durante i difficili anni precedenti alla caduta del blocco sovietico, ed è, forse, per lo stesso motivo che ancora oggi i suoi libri risultano così attuali.
Per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte.
Motivazione dell’accademia del premio Nobel
Una bellezza melancolica
…d’improvviso su un unico ramoscello d’acacia vide passare la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno, e gli sembrò di percepire la totalità del tempo come un inganno farsesco nella sfera immobile dell’eternità, che attraversa la discontinuità del caos creando la satanica finzione di un percorso rettilineo, spacciando tramite una falsa prospettiva l’assurdo per necessità…
– Satantango
Nonostante le tematiche affrontate non si deve pensare che Satantango manchi di bellezza. Al contrario, il lettore si trova confrontato con un testo che trasuda bellezza. Una bellezza di un tipo particolare, certo, non canonica, ma in qualche modo vintage, immalinconita dai toni cupi del paesaggio e dal decadimento dei personaggi.
Satantango, pur essendo pervaso dallo stesso stile di scrittura di Melancolia della Resistenza – che del resto diventerà il marchio di riconoscimento dell’autore con l’assenza di divisioni in paragrafi, frasi lunghissime e piene di incisi – presenta una maggiore facilità di lettura rispetto a quest’ultimo.
Anche da Satantango il regista ungherese Béla Tarr ha tratto un film, dall’omonimo titolo, che ben sa catturare la bellezza del libro, compresa quella della piccola Estike – personaggio fondamentale, eppure ingiustamente tralasciato da me –. Il film del 1994 riproduce fedelmente il romanzo, anche nei suoi toni lenti e alienati, ed è famoso per aver saputo rappresentare questa stasi dei personaggi attraverso l’occhio della cinepresa in un lavoro che dura più di 7 ore.
Scheda del libro Satantango

Titolo: Satantango
Autore: László Krasznahorkai
Casa editrice: Bompiani, 2016
Numero di pagine: 320
Titolo originale:Sátántangà
Traduzione di Dóra Várnai



