Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
La luna e i falò di Cesare Pavese
Trama – È il dopoguerra nelle Langhe. L’odio fratricida è ancora vivo, la terra continua ancora a sputare fuori, come un rigurgito, i corpi dei repubblichini giustiziati dai partigiani sulle montagne. Il prete del paese non sa che vedere la sua paura, smarrisce la sua carità cristiana e si scaglia in una predica, che sa di attacco, contro i rossi. Nel frattempo nuovi ricchi si sono sostituiti alla vecchia nobiltà, nuovi poveri si succedono ai vecchi poveri. La miseria di alcuni, un’eterna costante, immutabile attraverso le stagioni.
Anguilla, il protagonista senza nome proprio e senza un’origine certa, ritorna. Dopo molti anni di assenza ritorna al paese per scoprire che tutto è cambiato e tutto è sempre uguale. Gli ultimi anni li ha trascorsi a far fortuna nel nuovo continente. In America ha allargato i suoi orizzonti di contadino, ha conosciuto e amato quelle donne indipendenti e senza radici – proprio come lui, che è figlio di genitori ignoti –, ha lavorato con gli yankee che danno una chance a chi se la sa prendere e, quando la nostalgia è diventata troppo forte, è ritornato nella sua patria.
Ma poiché una volta conosciuta la vastità del mondo, non ci si può più ritrovare nei confini ristretti del paesino, Anguilla si è stabilito, da nuovo arricchito, nella cosmopolita Genova.
È il richiamo della festa che lo riporta alle sue terre – non che conosca il luogo e le persone che lo hanno generato –, è la nostalgia del passato, racchiuso nelle povere terre della Gaminella e in quelle più prospere della Mora, che lo chiama a sé.
Così inizia il viaggio a ritroso di Anguilla, del ragazzotto senza un passato e senza un avvenire che ritorna, a 40 anni, da uomo di vita, quasi da signore. In questo suo ritorno, è Nuto la sua stella polare, la sua bussola per orientarsi nel nuovo sentire dei paesani, per districarsi nel groviglio dei duri anni di guerra che hanno segnato il paese. Nuto è l’amico di vecchia data, il più saggio, il più giusto, il falegname musicista che con il suo clarino donava al paese la melodia su cui ballare, affinché la gente potesse lasciarsi andare all’ebbrezza della festa.
Durante il suo sopralluogo al vecchio casotto in cui aveva abitato con i contadini, che lo avevano preso con sé, e con le figlie di questi, si imbatte in un ragazzino claudicante e segnato dalla povertà. In Cinto, Anguilla rivede se stesso. Da un lato prova pena per quella vita di stenti, che era anche la sua, e per l’altro verso invidia lo stato di pura potenza in cui si trova il ragazzo.
I giorni al paese, dove alloggia all’albergo, trascorrono rapidi tra gli scambi di opinioni con Nuto e il filo dei ricordi riacceso dalla vista dei luoghi. Fino al momento in cui si presenta a Anguilla, persino, l’occasione di salvare Cinto dalla miseria. Mi sembra di vederci un doppio riscatto in questo gesto di misericordia. Anguilla non solo redime se stesso dalla miseria a cui era destinato, ma riesce anche a salvare un’altra anima dannata. Il suo ritorno si potrebbe leggere quasi in chiave messianica.
Altre vite, troppe non si sono potute salvare durante i terribili anni di guerra. La natura rurale delle Langhe ne è testimone e copre con i suoi falò, un tempo occasione di festa, quello che si vuole scordare.
I Personaggi de La Luna e i falò
La narrazione in prima persona de La luna e i falò si svolge su due piani, quello della stagione presente, del ritorno di Anguilla che incontra Cinto e quello degli anni passati, della giovinezza del protagonista. Inevitabilmente tutti i personaggi del passato, tranne Nuto che fa da collante tra passato e presente, sono come dei fantasmi che aleggiano in un mondo che non è più, perché loro non sono più.
E poi, a me Nuto piaceva perché andavamo d’accordo e mi trattava come un amico. Aveva già allora quegli occhi forati da gatto, e quando aveva detto una cosa finiva: “Se sbaglio, correggimi”. Fu così che comincia a capire che non si parla solamente per parlare, per dire “ho fatto questo” “ho fatto quello” “ho mangiato e bevuto”, ma si parla per farsi un’idea, per capire come va questo mondo. Non c’avevo mai pensato prima.
La luna e i falò di Cesare Pavese
La rimpatriata che accompagna il ritorno nei luoghi della giovinezza non avverrà. Né la sua famiglia adottiva, né le ricche signore della Moira sono più in vita. Eppure la presenza delle tre sorelle: Serena, Silvia e Santa, figlie di Sor Matteo della Mora, si impone con prepotenza lungo le pagine del romanzo. L’educazione sentimentale delle ragazze, la loro civetteria e le loro delusioni amorose costituiscono una parte importante de La luna e i falò. Questa sensibilità per il mondo femminile ricorda quella già dimostrata nel racconto La bella estate, dove anche il tema della festa era presente.
La stagione, la festa
In questo romanzo testamento, l’ultimo che Cesare Pavese scrisse nel 1950, prima di togliersi la vita, la poesia giunge alla prosa. Quella scrittura che sa ricalcare il materialismo, il contatto crudo dei contadini con la terra, nella sua schiettezza e mancanza di orpelli, arriva diritta al cuore. E farà sorride, e forse farà anche piangere. Ma nessun pietismo, nessun fronzolo reclamerà la lacrima.
La luna e i falò è il canto dell’innocente che nasce dannato e che vuole salvarsi. È il racconto dell’uomo che vuole capire come è fatto il mondo. Un mondo in cui la vita non è altro che un susseguirsi ciclico delle stagioni. La stagione della vendemmia, del grano che segna il ritmo imposto dalla natura, ma anche le stagioni della vita dell’uomo: la giovinezza, l’età adulta e la vecchiaia. E quella festa che non smette di ripresentarsi nelle opere di Pavese sembra coincidere con l’ebbrezza dell’età più bella: la giovinezza.
I giovani di allora, i giovani di adesso e i giovani del tempo che verrà tutti accomunati da quel sentimento di speranza, che verrà forse delusa, ma ancora con gli occhi scintillanti attorno ad un fuoco che brucia in un falò.
Capii che Nuto aveva davvero ragione quando diceva che vivere in un buco o in un palazzo è lo stesso, che il sangue è rosso dappertutto, e tutti vogliono esser ricchi, innamorati, far fortuna.
La luna e i falò di Cesare Pavese
Titolo: La luna e i falò
Autore: Cesare Pavese
Casa editrice: Einaudi