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Era il 1995 quando apparve Homo Sacer, il primo di una serie di libri con i quali Giorgio Agamben si poneva l’obiettivo più propriamente politico di tutta la sua produzione: tentare di indagare la genealogia del potere occidentale e di svelarne il paradigma, il meccanismo su cui poggia.
A un primo sguardo, è uno strano anfibio l’homo sacer: un’archeologia di scavi portata alla luce con il metodo dell’indagine filosofica coadiuvata dalle nozioni di diritto della giurisprudenza. Ma se si guarda più a fondo, quest’interdisciplinarità, di cui Agamben, laureato sia in Giurisprudenza che in Filosofia, è un esempio vivente, è ben lontana dall’essere un caso isolato e ambiguo.
Nell’antica Grecia, la filosofia nasce come esperienza politica per eccellenza. I filosofi sono coloro i quali discutono di questioni legate alla prassi umana nella Polis. Non è un caso che Platone indicasse proprio i filosofi come coloro in grado di governare uno Stato perfetto. Né lo è la lunga tradizione di filosofi politici da Aristotele a Hobbes e Rousseau (con le loro dottrine sul contratto sociale) passando per Marx, fino ai nostri filosofi moderni quali Hanna Arendt, in una certa misura Benjamin se si ricorda il saggio sulla critica della violenza, e soprattutto Michel Foucault. Il pensiero del filosofo francese si concentra, negli anni Settanta, in un concetto che conoscerà una certa fama anche in Italia. Stiamo parlando naturalmente della biopolitica. In questa tradizione si collocano gli studi sull’Homo Sacer di Giorgio Agamben.
Le dicotomie agambeniane
Inizia con una dicotomia tra zoe e bios l’Homo Sacer, e chi ha un po’ di familiarità con la filosofia di Agamben sa che proprio le contrapposizioni dialettiche sono un tratto caratteristico del suo metodo, con particolare attenzione alle coppie linguistiche: Tragedia/commedia, lingua viva/ lingua morta, significante e significato – per citare alcune delle categorie -; ma anche quella più propriamente aristotelica tra potenza e atto. Per chi invece non ha familiarità con Agamben e vuole sbrogliare la matassa di queste dicotomie, sarà utile tenere ben in mente che sono tutte sempre riconducibili al primordiale dualismo, che è poi la cifra dell’animale umano, tra Natura e Cultura, o tra Corpo e Mente – direbbe Cartesio.
Zoe e Bios, dicevamo. Dove per Zoe si intende il semplice fatto di vivere (comune da specie a specie) in contrapposizione al Bios, cioè la forma di vita propria di una specie, considerata nella pienezza della sua vita politica. Il punto di partenza sta nelle tesi di Foucault secondo cui è proprio questa zoe, il corpo del vivente, a essere impigliata nel giogo dei sistemi politici moderni. Recuperato questo assunto Agamben costruisce la sua teoria e mostra con quale modalità la politica entra in rapporto con la vita e di che tipo di vita si tratti.
Stato d’eccezione
Agamben prende in prestito la nozione di Stato d’eccezione dal giurista tedesco Carl Schmitt per spiegare il concetto paradossale su cui si fonda l’ordinamento giuridico. Questo concetto è di tale importanza da meritare da solo un approfondimento da parte di Agamben, che gli dedicherà la seconda parte della sua genealogia sull’Homo Sacer.
La validità della norma giuridica e dello stesso potere sovrano si basa, secondo Schmitt, sulla possibilità, che il sovrano si riserva, di decidere di proclamare uno Stato d’eccezione, cioè una sospensione delle norme vigenti. Il sovrano è perciò colui che si trova sulla soglia contemporaneamente dentro e fuori la legge. Inclusione nella legge perché è legittimato a proclamare lo stato d’eccezione, ma allo stesso tempo esclusione perché nello stato d’eccezione le normali norme non sono più in vigore, il sovrano si pone, per così dire, al di sopra di esse.
Egli ricava il suo potere, la sua ragion d’essere, dal suo poter porre la norma in uno spazio giuridicamente vuoto, in una pura forma senza vigenza, o, in altri termini, nella sua pura potenza (in quanto l’attualità normativa è sospesa). La sovranità si presenta come un inglobamento dello stato di natura (pura potenza in cui tutto è lecito) nella società regolata dalle norme, come soglia di indifferenza fra natura e cultura, fra potenza e atto, fra violenza e legge.
“Lo stato d’eccezione è diventato la regola” costatava Walter Benjamin, al quale il saggio di Schmitt era ben noto, nel suo Su il concetto di storia. E la citazione di Benjamin non è certo casuale. C’è molto più Benjamin in Agamben di quanto ci sia dato vedere in questo singolo saggio. Qui, partendo dalle riflessioni benjaminiane sullo stato d’eccezione e sulla violenza che pone il diritto e violenza che lo conserva, Agamben approfondisce e corregge l’iniziale tesi di Foucault secondo cui la vita è inclusa nella politica moderna. Più che d’inclusione ad Agamben sembra lecito parlare di inclusione esclusiva, “Lo spazio della nuda vita viene a coincidere con lo spazio politico” le categorie entrano in una zona di indistinzione. Seguendo un altro spunto benjaminiano Agamben vuole ora indagare la natura di questa nuda vita.
La sacertà – Che cosa significa Homo sacer?
Con l’eccezione sovrana abbiamo visto l’inclusione esclusione dal punto di vista del potere. Con il concetto di homo sacer, Agamben ci presenta lo stesso meccanismo dal punto di vista speculare della vita impigliata nel potere. Il primo malinteso da eliminare ruota attorno al termine sacer “sacro” con cui viene qualificata la vita, esso non è inteso nel senso comune e moderno di non violabile, o appartenente alla sfera religiosa. Per capire cosa si nasconde dietro la sacertà della nuda vita, Agamben attinge ancora una volta a quel metodo che abbiamo definito “archeologico”. Scava questa volta nel cuore del diritto romano arcaico e fa luce sulla struttura politica originaria che precede la distinzione fra religioso e profano. Una struttura più prossimità al concetto di tabù, inteso come zona di indifferenza tra sacro e impuro.
L’homo sacer era colui che era stato messo a bando, cioè escluso (posto fuori) dalla comunità. O, in altri termini, separato. Non più nell’ordine giuridico, ma nemmeno ammesso a quello divino. L’uomo sacer in quanto escluso dalla comunità, avendo perso la protezione sovrana, poteva essere ucciso senza che l’assassino si macchiasse della colpa di omicidio. Ma allo stesso tempo, la sua morte non poteva essere presentata come un sacrificio. L’homo sacer è colto in questa duplice eccezione. A questo punto sarebbe opportuno chiedersi: che ne è dell’iniziale distinzione tra zoe e bios? In che rapporto stanno queste due categorie del mondo greco con l’homo sacer? L’homo sacer, o nuda vita, invece di coincidere con l’una o l’altra categoria si pone come indistinzione tra le due, presupponendo così una zona di indifferenza tra natura e cultura.
Sovrano e nuda vita: due volti dello stesso meccanismo
La dimensione politica con il potere sovrano conserva esattamente questo paradosso, che è insito anche nell’homo sacer. La ragione d’essere del potere sovrano, il potere su cui si fonda, è la norma in potenza, cioè nella sua sospensione, avevamo detto, ma alla luce delle ricerche sulla figura dell’homo sacer è anche corretto sostenere che il fondamento della sovranità è la vita stessa del suddito, nel suo stato di potenza, preso nella sua inclusione nella comunità attraverso un’esclusione da essa.
“Sovrana è la sfera in cui si può uccidere senza commettere omicidio e senza celebrare un sacrificio e sacra, cioè uccidibile e insacrificabile, è la vita che è stata catturata in questa sfera.”
Sovrano è colui rispetto al quale tutti gli uomini sono potenzialmente homines sacri e homo sacer è colui rispetto al quale tutti gli uomini agiscono come sovrani. Questo stato d’eccezione divenuto la regola nella moderna politica, sarà l’oggetto delle prossime analisi agambeniane.
Zoe tra totalitarismi e democrazia
Nella terza e ultima parte, Agamben avvia le sue ricerche con il tentativo di unire il non-detto tanto di Foucault – che si concentra sulla biopolitica ma non la riferisce ai poteri totalitari – che di Hanna Arendt – che si dedica allo studio dei sistemi totalitari ma non lo rapporta alla biopolitica – . Dalla sintesi di questi due giganti del pensiero politico, Agamben individua nella biopolitica – lo spostamento della politica in spazio della nuda vita – la condizione che ha reso possibile l’avvento dei totalitarismi.
Politicizzazione della vita e della morte
Ma non sono solo i totalitarismi a tenere in scacco la nuda vita. Agamben indaga nello spazio politico moderno zone d’ombra dove, paradossalmente, è più facile che il meccanismo venga alla luce. Una di queste è la dichiarazione dei diritti.
La spirale crescente di dichiarazioni dei diritti è, secondo Agamben, un’arma a doppio taglio, in quanto fa entrare la decisione sovrana, che prima era rivolta solo al caso limite dello stato d’eccezione, sempre più a macchia d’olio nel privato e nelle libertà individuali. Si assiste, di conseguenza, a uno spostando della soglia dell’inclusione esclusiva da un gruppo di persone (prese nel bando) alla singola vita biologica presa nei suoi parametrici medici di vita e di morte, diventati ora concetti politici. Agamben pensa a casi come il diritto dell’embrione, l’eutanasia – durante l’emergenza sanitaria di Covid estenderà il discorso a quest’ambito – su questi casi il giurista, il politico, il medico assurgono a sovrano.
È proprio questa la caratteristica più preoccupante della politica moderna: siamo tutti potenzialmente homo sacer così come siamo tutti potenzialmente sovrano. Sempre in questo discorso si collocano i casi-limite dell’eugenetica (eliminazione, su decisione di Hitler, di persone ritenute da lui non degne, perché affette da problemi fisici o mentali) e degli esperimenti medici condotti sui prigionieri nei campi di concentramento. Entrambi sono visti da Agamben come estensione della decisione sovrana sull’homo sacer. Oltre ad Hitler, in questi casi, i medici e gli scienziati diventano sovrani sulla nuda vita uccidibile.
L’aporia del rifugiato
Il processo di separazione (inclusione esclusiva dalla comunità) che avevamo visto avvenire nell’homo sacer si riproduce dunque sempre di nuovo, anche nelle democrazie moderne, all’interno di ogni singola vita presa nelle dichiarazioni dei diritti umani. Così come lo stato d’eccezione mostra l’aporia nel sistema giuridico, allo stesso modo la figura del rifugiato mostra un’aporia nel sistema dei diritti.
È come se la stessa dichiarazione dei diritti avesse bisogno dell’esclusione di una certa parte di persone per potersi fondare. I diritti, che dovrebbero vertere sulla vita in quanto tale, sembrano non funzionare per il rifugiato, in quanto in realtà sono legati al presupposto della nascita nella nazione. Il rifugiato, posto fuori dal suo contesto socio-politico, si ritrova privato della sua bios, dei suoi diritti come cittadino, e viene esposto come nient’altro che nuda vita, homo sacer. Questa separazione è responsabile di creare diverse categorie di persone: uomo senza diritti, o con diritti limitati, e cittadini con pieni diritti.
Allo stesso modo, durante il nazismo era stato possibile procedere all’eliminazione degli ebrei solo dopo aver tolto loro la nazionalità. La soluzione all’aporia dei diritti sembra trovarsi, per Agamben, nella nascita di una futura politica in cui la nuda vita non sia presa e isolata ma in cui venga rispettata la forma di vita umana intesa come espressione del suo modo di vivere potenziale.
Il luogo della nuda vita nel nazismo
Agamben individua nel campo di concentramento lo spazio-chiave della nuda vita. In questo paradigma di sofferenze e morte è possibile individuare la trasposizione spaziale dello stato d’eccezione permanente, partendo appunto da quella privazione dei diritti nei confronti degli ebrei “non più” cittadini. Agamben affronta e approfondisce questa tematica nel bellissimo saggio Ciò che resta di Auschwitz.
Ricezione dell’homo sacer
Era il 1995 quando le teorie di Agamben videro la luce, il suo tentativo di ricercare il paradigma dell’homo sacer nel passato dei campi di concentramento non dovrebbe distogliere dal pensare che lontano dall’essere un dispositivo confinato nel passato dei totalitarismi, l’homo sacer svela piuttosto un meccanismo sempre attuale. Sembrano esserne ben consci i Whiteness e Postcolonialism Study, che partendo dagli Stati Uniti sembrano ben recepire gli spunti agembeniani e lavorare sul suo potenziale per venire a capo ad esempio dell’aporia fra società bianca e di colore.
Agamben seppur non fornisca un’interpretazione perfetta del funzionamento delle democrazie attuali e della crisi che stanno vivendo – sembrano soprattutto mancare delle soluzioni concrete – offre comunque degli utili spunti di riflessione preziosi su un meccanismo sempre in opera nei governi e nelle società, che si basano su una tacita e consensuale esclusione di alcuni gruppi, per sostenerne altri. Un meccanismo che non ha mai smesso di funzionare e che si riproduce sempre di nuovo, in un’allarmante assuefazione che non permette più ai soggetti di prenderne coscienza.
Più che lo stato d’eccezione generatosi con la pandemia nel 2020-21, su cui Agamben si è mostrato molto presente, ma che era in fondo generato da un’emergenza sanitaria, e non strettamente politica, sembrano essere altri i settori su cui concentrare l’attenzione. A mio parer è nello svelamento dell’applicazione di questo meccanismo nella de-umanizzazione dell’Altro, visto come “meno umano” – sia esso l’immigrante o la nuda vita che in Medio Oriente diventa uccidibile con impunità – che il paradigma dell’Homo Sacer di Giorgio Agamben rivela tutto il suo potenziale.