Notturno indiano di Antonio Tabucchi

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Notturno indiano Antonio Tabucchi

TramaNotturno indiano è la storia di un viaggio ai tempi in cui i vantaggi offerti da internet erano ancora sconosciuti. Viaggiare era perciò da considerarsi sinonimo di avventurarsi, tanto più che la destinazione di questo viaggio è l’India. Vasta, caotica, mistica, radicalmente altra, se si considera la prospettiva di un europeo, anche se i retaggi del selvaggio colonialismo imperiale sono ancora visibili qua e là nell’urbanistica delle città, quasi dappertutto nell’uso dell’inglese: esperanto che garantisce un’unità linguistica, altrimenti impossibile nel vasto mare di lingue parlate.  

Il viaggiatore in solo, protagonista e narratore di cui non conosciamo né nome, né l’identità, si è però munito di un’arma preziosa, una guida dal titolo: India, a travel survival kit. Ma gli servirà davvero un kit di sopravvivenza? Il nostro viaggiatore sembra proprio vedere pericoli giungere da ogni dove. È sospettoso, guardingo e non sembra trovarsi in India per un viaggio di piacere. Ben presto il lettore verrà a conoscenza del motivo: cercare un amico che sembra essere scomparso nel nulla. Ma chi è quest’amico e chi è lui stesso?

Man mano che la narrazione prosegue, così come procede il viaggio, racimoliamo poche, confuse informazioni. Scopriamo che l’amico scomparso si chiama Xavier ed è portoghese. Lui, il protagonista, invece è italiano. La loro amicizia, forse un tempo solida, sembra  ora solo un ricordo del passato.

È Vimala, una prostituta amante di Xavier, ad averlo contattato con la speranza che lui potesse ritrovarlo. L’incontro avviene in una zona piuttosto malfamata in un alberghetto di Bombay, il primo, ma senz’altro non il migliore, di una lunga serie di hotel e ristoranti, di camere d’albergo e cibi succulenti rigorosamente segnalati dalla guida al viaggiatore. Sulle tracce di Xavier, più simile ad un fantasma che ad una vera person, il narratore si sposta di luogo in luogo, macina chilometri per lo più su autobus notturni, da Bombay a Madras e da Madras a Goa. Goa l’ultima tappa si rivela una destinazione senza approdo. Antonio Tabucchi lo sa bene: è nel tragitto la meta.

Stile, personaggi e dialoghi

La narrazione, in prima persona, ha un andamento a tappe, proprio come quelle del viaggio, ogni capitoletto – in tutto 12 – conciso e brillante, ci offre un cambio di scena. Una diapositiva nuova e sbiadita introduce i luoghi, stralci di conversazioni profonde e filosofiche. Magnificamente scritte. Il viaggiatore incontrerà sul suo cammino molteplici personaggi, locali e stranieri, dai tratti sorprendentemente ricchi e distintivi: il dottore agnostico che ha studiato in Europa, l’anziano jainista, una ladra prestanome, il maestro spirituale di Xavier, il ragazzo deforme che sa leggere il karma, l’ex postino e infine la fotoreporter Christine.

Emerge, attraverso i dialoghi, una profonda riflessione sulla condizione umana, forse sulla ricerca del senso della vita. In questo libro in cui tutto è metafora del viaggio, forse di quel grande viaggio di noi essere umani sulla terra, la ricerca è la cifra. In una delle conversazioni più intense, in risposta all’anziano jainista, che si interroga sulla materialità dei nostri corpi, il viaggiatore paragona i nostri corpi a delle valigie in cui viaggiamo dentro. Un involucro per trasportare noi stessi.

La malinconia in Notturno indiano

Tra una tappa e l’altra si affaccia sovente la malinconia. Una malinconia che il protagonista, e noi con lui, sente arrivare – proprio come in quelle canzoni di Guccini –. Ma forse la malinconia è già da sempre sua compagna, trascinata dietro come quel suo bagaglio leggero. Sarà per un amore non realizzato che compare in ricordi bucolici, sarà per lo strano corso che la vita sembra prendere quando ci allontana dalle persone amate. Sarà forse che la malinconia ci appartiene per tutte quelle strade che avremmo potuto percorrere e non abbiamo intrapreso. Il misticismo dei luoghi, già sempre un terreno  fertile per il sogno e la riflessione, non fa che amplificarla. 

Un romanzo breve per sottrazione

La cornice di Notturno indiano è ristretta. Vediamo solo quello che l’autore vuole farci vedere e chiaramente non è molto, forse non è nemmeno sufficiente a dirsi soddisfatti di aver compreso tutto, se mai è possibile dirlo di qualcosa. Antonio Tabucchi agisce chiaramente per sottrazione. Predilige il frammento al tutto. Notturno Indiano è un libro che gioca sui chiaroscuri, su luci ed ombre, essenza e apparenza. Atma e Maya li chiama l’indovino che somiglia ad una scimmia.

Ma c’è ancora almeno un aspetto che urge di essere citato. Questo è il tema del doppio, dell’altro da sé che fa chiaramente l’occhiolino alla spersonalizzazione operata da Pessoa, da quell’uno, 10, 70 eteronimi. Tabucchi non arriva a tanto, ma quegli indizi che ci arrivano di tanto in tanto, lanciati sul sentiero del lettore come capitano al viaggiatore, ci avvisano che l’uomo non è se stesso, è un altro. Un esplicito omaggio a Pessoa – che proprio non poteva mancare –, Tabucchi ci conferma che è questa la strada per interpretare Notturno indiano “Non credere o cercare: tutto è occulto.” E lo stesso monito arriva da più personaggi, non cercare o “Méfiez-vous des morceaux choisis.

Ma dove sta il suo vero io, la sua anima – chiede e si chiede il viaggiatore – ?

Alla fine è tutto un inganno, una finzione letteraria. Una finzione come la vita.

In qualche modo sta cercando se stesso. Voglio dire, è come se cercasse se stesso, cercando me: nei libri succede spesso così, è letteratura

Scheda del libro Notturno indiano

Notturno indiano trama e riassunto recensione

Titolo: Notturno indiano

Autore: Antonio Tabucchi

Casa editrice: Sellerio Editore

Anno di pubblicazione: 1984

Numero di pagine: 124

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