Fuoco di Shida Bazyar

Fuoco di Shida Bazyar

Fuoco di Shida Bazyar è il titolo dell’edizione italiana del secondo libro dell’autrice tedesco-iraniana, conosciuta per Di notte tutto è silenzio a Teheran. È proprio il fuoco, o meglio l’incendio – solo accennato nelle prime battute – ad aleggiare tra le pagine come il simbolo preannunciato di una tragedia ineluttabile e imminente. Onnipresenti nella narrazione sono, invece, le 3 compagne del titolo originale tedesco 3 Kameradinnen, il quale, a detta della stessa autrice, si ispira alla storia del cameratismo dei 3 personaggi del romanzo 3 Kameraden (al maschile) di Erich Marie Remarque.

Trama – Tre amiche, Hani, Saya e Kasih, si riuniscono per partecipare insieme al matrimonio di un’altra loro vecchia amica con cui avevano perso un po’ i contatti. Hani, Saya e Kasih, al contrario, non si sono mai perse di vista. Una profonda amicizia le lega fin dai tempi della loro infanzia, una sorellanza che è anche il segno della complicità con cui le ragazze hanno attraversato insieme una giovinezza non proprio privilegiata.

Le tre sono cresciute, infatti, in quello che viene definito “ghetto”, una realtà sociale ai margini (di una non precisata città tedesca) dove la popolazione, per lo più di origine straniera, vive in condizioni più o meno precarie, dimenticata da istituzioni e servizi, compresi i trasporti pubblici.

Nonostante ognuna di loro si trovi ora a lottare con i problemi dell’età adulta, in cui si affacciano, le tre giornate sono l’occasione ideale per una rimpatriata spensierata, o almeno così sarebbe se in Germania non si stesse svolgendo, proprio in quei giorni, il processo a un gruppo di neonazisti accusati di crimini razzisti.

Se le tre ragazze tedesche fossero bionde e con gli occhi azzurri, il processo potrebbe essere, forse, una questione irrilevante, ma così non è. Le tre ragazze sono tedesche “non bianche” o “di seconda generazione”, figli d’immigrati in Germania, e per questo si sentono direttamente coinvolte. In particolare Saya, la più intellettuale e combattiva del gruppo, segue il processo in modo ossessivo e si lascia trascinare sempre più a fondo in una spirale di rabbia crescente. Una collera alimentata dalle piccole e grandi discriminazioni a cui una certa parte della società, per razzismo o semplicemente per ignoranza, le sottopone, tracciando così una linea netta e invalicabile tra “noi” e “loro”.

Dopo un esordio in grande stile con Di notte tutto è silenzio a Teheran, a metà strada fra Oriente e Occidente, Shida Bazyar si concentra sulla realtà che conosce meglio: quella degli immigrati di seconda generazione in Germania. Con Fuoco, assesta un colpo che scuote il lettore e lo costringe a un ribaltamento di prospettiva assolutamente necessario – tanto nella società tedesca, quanto in tutte quelle culture con una mentalità da retaggio colonialista -; lo fa marchiando a fuoco le pagine di questo libro incandescente.

La narrazione di Kasih

In un flusso di coscienza inquieto e disordinato, dettato dall’urgenza dei fatti, Kasih, alter ego dell’autrice, scrive nella notte dell’incendio per raccontare la sua verità. O, per meglio dire, per urlarla in faccia al lettore. Lo fa con una scrittura infiammata – perché più che l’incendio finale, sono le parole ad ardere come fuoco – indirizzandosi ad un lettore immaginario che colloca nella categoria del voi, contrapposto al noi dei “non bianchi”.

In una sorta di meta-scrittura, la narratrice si prende la libertà di interrompere la narrazione quando ne ha voglia, riportando così il lettore alla non-realtà del romanzo e al confronto diretto. Il lettore si ritrova esposto all’arbitrarietà della scrittrice, che si diverte a giocare con verità e menzogna. In questo stato di impotenza, il lettore è costretto ad un cambio di prospettiva, ha, soprattutto, l’obbligo di ascoltare e guardare dove troppo spesso aveva fatto finta di non vedere.

“Ich höre jetzt auf, weiterzuschreiben. Das hat keinen Zweck, denn ich versuche mir permanent vorzustellen, wer ihr seid, während ihr euch vorzustellen versucht, wer wir sind.“

„Adesso smetto di scrivere. Non ha senso, visto che provo a immaginarmi in continuazione chi siete voi, mentre voi provate a immaginarvi chi siamo noi.”

Fuoco di Shida Bazyar

La narrazione non è edulcorata dallo stile aulico che aveva accompagnato il capitolo di Bashad nel suo primo romanzo. Al contrario, è una scrittura concreta, che non scende a compromessi. Nella sua disarmante colloquialità gergale, a tratti rude, porta la narrazione ad un livello di realtà quotidiana non filtrata.  

Pensare fuori dalle categorie in Fuoco di Shida Bazyar

Tra i tanti ricordi che affiorano in questo fiume in piena, Kasih descrive il desiderio, sentito soprattutto da bambina, di non voler essere diversa dagli altri. Un desiderio universale di voler appartenere… al gruppo, alla nazione in cui si vive. Un desiderio in cui la domanda “da dove vieni?” non trova spazio.

La fatica del doversi spiegare a causa di un nome che suona straniero o del colore della pelle, non è comune solo a Kasih e alle sue amiche, ma anche a tutti gli altri cittadini di una nazione secondo ius soli. Per questo ho compreso la decisione dell’autrice di non voler spiegarsi, di non voler etichettare i suoi personaggi come figli di turchi, arabi, iraniani. Le tre ragazze hanno assorbito la cultura tedesca, la sua lingua, i suoi modi di parlare, i suoi programmi televisivi e il sapere condiviso socialmente dalla nazione. Che senso ha sentirsi ancora sempre messi in discussione, nel suo intimo, nella sua identità?

Berlino multikulti

Rispetto l’autrice nel suo intento di non voler nominare la metropoli in cui si svolge la vicenda e ancorare di conseguenza la storia ad un determinato tempo spazio, perdendo così l’universalità delle tematiche, ma cedo comunque alla tentazione di voler definire il luogo dell’ambientazione. L’ho riconosciuta Berlino. È lì con i suoi tetti, dove le tre amiche si ritrovano a chiacchierare e bere, e con i suoi Späti, aperti anche di notte e dove si può comprare birra a poco prezzo. Ed è ancora lì alla festa di compleanno sul demanio di una ex fabbrica. Berlino la multiculti è lì con la sua libertà pagata a caro prezzo.

Wir schaffen das! O la vuota retorica

 La frase del personaggio Life “Wir schaffen das” riporta qualcosa alla mente, dietro di essa c`è un’amara ironia. Nel 2015, in seguito all’ondata migratoria dei rifugiati siriani in Germania, si era diffuso il motto, coniato da Angela Merkel, Wir schaffen das!, ce la faremo. I corsi di tedesco, conditio sine qua non, avrebbero dovuto garantire l’integrazione dei siriani nel tessuto sociale tedesco.

Del resto, la Germania non è nuova a questi flussi migratori di massa e ne ha saputo approfittare già nel corso degli anni Settanta con i Gastarbeit, i lavoratori ospiti. Ma cosa ne è divenuto poi degli immigrati di allora? Fuoco di Shida Bazyar è un po’ una riposta a questa domanda. E la risposta ridotta ai minimi termini è: restano dei cittadini di serie B.

Sie unterscheiden. Es gibt die Deutschen und es gibt die Flüchtlinge. Uns gibt es in dieser Welt nicht. Hier sind wir weder Deutsche noch Flüchtlinge, wir sprechen nicht die Nachrichten und wir sind nicht die Expertinnen. Wir sind irgendein Joker, von dem sie noch nicht wissen, ob sie ihn einmal zu irgendetwas gebrauchen können.

Loro differenziano. Ci sono i tedeschi e ci sono i rifugiati. Noi non esistiamo in questo mondo. Qui non siamo né tedeschi né rifugiati, noi non annunciamo il notiziario e non siamo le esperte. Siamo una specie di jolly di cui non sanno ancora se potrà tornargli utile per qualcosa.

Fuoco di Shida Bazyar

Prima di diventare scrittrice a tempo pieno, Shida Bazyar – come Saya – ha lavorato come formatrice di giovani, molti dei quali tedeschi di seconda generazione. Perciò conosce bene l’ipocrisia che sta dietro le politiche migratorie. L’integrazione è sempre un fenomeno in due direzioni. La cultura dell’accoglienza della Merkel, come quella dei flussi migratori precedenti, ha lavorato sempre in un solo verso, quello dell’adeguazione degli immigrati nella nuova realtà sociale. Ma come si lavora sulla società ospitante?

La Germania, e non solo, dovrebbe chiedersi se la proprietaria del pub che fa due prezzi diversi, uno per i tedeschi bianchi e un altro per quelli non bianchi, si sia integrata con la nuova identità muticulturale. Voi lettori starete sicuramente pensando “Ma la proprietaria del pub è solo un personaggio inventato?” Ne siete davvero sicuri? È tutto una finzione? Di cosa si nutre la letteratura? In questo caso, di amare verità. Come il tragico massacro di Hanau nel 2020, in cui un militante di estrema destra uccise 9 persone, tutte di origini straniere, per motivi di razzismo.

Shida Bazyar riesce con Fuoco nell’impresa di coniugare in una sintesi perfetta i due mondi che la animano: quello reale della migrazione e quello della finzione letteraria. Una sintesi amara, certo, ma amaramente necessaria.

Libro Fuoco trama e recensione

Autrice: Shida Bazyar

Edizione originale: Drei Kameradinnen, 2021, Kiepenheuer &Witsch, Köln. 350 pg

Edizione italiana: Fuoco di Shida Bazyar, 2022, Fandango Libri s.r.l., Roma.

Trad. di Lavinia Azzone, 339 pg

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