È la disperazione dell’orfano, la protagonista de La cripta dei cappuccini. L’orfano è Francesco Ferdinando Trotta, alias Joseph Roth, e a essere morta, nelle trincee della prima guerra mondiale, è l’imperial-regia monarchia.
Roth ne commemora la vita, ricorda i suoi ultimi giorni e ne elabora un lutto, difficile, se non impossibile, da superare.
L’imperial-regia monarchia, simbolicamente sepolta nella cripta dei cappuccini dove sono conservate le tombe degli ultimi imperatori dell’impero austro-ungarico, lascia i suoi sudditi divisi e orfani. Alcuni troveranno un nuovo padre nelle nuove ideologie: quella comunista di poca durata, e quella nazionalsocialista, tanto duratura quanto deleteria. Per l’apolide Joseph Roth, già orfano di un padre assente a causa dei suoi problemi mentali, non ci sarà più alcuna possibilità di ritrovarsi figlio di una qualche patria.
Trama – Nella magnifica Vienna del primo decennio del Novecento, il giovane Francesco Ferdinando Trotta trascorre la sua vita tra il lusso e l’ozio, forte del privilegio di appartenere ad una famiglia di nobiltà acquisita, originaria della Slovenia, che vanta l’eroe di Solferino tra i suoi discendenti. Il suo forte legame con la monarchia austro-ungarica è reso ancora più evidente dal nome che porta, Francesco Ferdinando, in onore dell’imperatore.
La sua vita bohémien, o, come lui fa meglio a definire, decadente, che si consuma di notte nei lussuosi caffè di Vienna attorno ad un circolo di amici, è destinata ad eclissarsi, al pari di tutto il mondo come lui lo aveva conosciuto.
È la chiamata alle armi a ridestare il giovane Trotta. Proprio quando lui si trovava in Galizia spensieratamente impegnato in visita con il cugino Joseph Branco da un carrettiere di nome Manes Reisiger. In un ultimo disperato desiderio di veder compiere la sua vita, il giorno prima di partire per la guerra, sposa Elisabeth, la sorella di un suo amico di cui si crede innamorato.
Francesco Ferdinando Trotta, in realtà, vedrà ben poco dei campi di battaglia. Infatti, verrà ben presto fatto prigioniero, insieme a suo cugino e al carrettiere, dai bolscevichi. A guerra finita ritorna a casa. Ad aspettarlo trova la vecchia e severa madre, l’ultima vera matrona asburgica. È il suo amore dignitoso e contenuto a restituirgli l’illusione della normalità. Al di fuori delle mura della sua abitazione viennese, però, niente è più come prima.
La stessa Elisabeth, diventata in sua assenza un’eccentrica disegnatrice di arti applicate, è un’estranea per il giovane sopravvissuto. Francesco Ferdinando Trotta, figlio di una nobiltà che non conta più nulla, non si ritrova più nel mondo post bellico. Cambiate le regole della società, lui, che viveva nelle frivolezze del denaro facilmente speso ma non guadagnato, non può che assumere le sembianze dell’inetto. Dopo diverse vicissitudini, tanto nella vita privata del giovane, quanto in quella socio-politica della città, si profila, sulla vita degli sbandati sopravvissuti alla grande guerra, l’ombra ancora più funesta di un nuovo dramma: il nazismo.
Tra il malinconico e il disperato, Trotta, dal nome di un imperatore ormai dimenticato, da tutti ma non da lui, prende commiato dalla sua amata patria e si interroga su che posto possa ancora spettargli in quel nuovo mondo in transizione verso l’abisso definitivo.
Un romanzo sulla finis Austrie
La cripta dei cappuccini fu pubblicato nel 1938 dall’editore olandese di Joseph Roth, solo un anno prima della sua morte. All’epoca Joseph si trovava in esilio a Parigi già da diversi anni. Con il personaggio di Francesco Ferdinando Trotta continua la storia della casata dei Trotta già presente nel suo precedente romanzo La marcia di Radetzky. Con l’avvinarsi della sua fine, sembra che lo scrittore, già da sempre attento a inserire i suoi luoghi nelle sue opere, abbia voluto definitivamente congedarsi da quel mondo per la cui salvezza aveva combattuto nella prima guerra mondiale. Un mondo che era stato il suo centro, la sua patria.
La cripta dei cappuccini è il suo omaggio e il suo commiato alla finis Austria, alla dissoluzione del cosmopolita impero Austro-ungarico, come lui stesso lo aveva conosciuto e sempre saputo rappresentare.
Lo stile nostalgico de La Cripta dei Cappuccini
La penna melliflua di Joseph Roth è facilmente riconoscibile in questo romanzo, come lo era in altri suoi racconti (vedi Confessioni di un assassino e la Leggenda del Santo bevitore). Ma quella sua consueta leggerezza e ironia nei confronti della vita, seppur presente soprattutto nella parte iniziale, va sempre più scemando.
L’atmosfera che regna sul romanzo sembra piuttosto essere quella della disperazione che accompagna la perdita. Costantemente annunciata dal protagonista, che narra in terza persona le vicende che non ha potuto fare altro che subire, è la morte. Non quella del singolo, bensì di uno status, di un mondo.
Sopra i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute.
Riflessioni socio-politiche sulle terre della corona
La cripta dei cappuccini è, probabilmente, il libro più politico fra quelli scritti dall’autore. Ebreo in fuga a Parigi, Roth si concede persino l’audacia di inserire l’annessione austriaca alla Germania Nazista, verso la fine del romanzo.
Fatta eccezione per questa parentesi, le riflessioni socio-politiche hanno uno sguardo piuttosto rivolto verso il passato, quello che lui ha vissuto personalmente da suddito dell’impero; un suddito delle terre dell’estremo est, la Galizia, confinante con la Russia, trasferitosi poi con sua madre, a Vienna. Lui che le terre dell’impero le conosceva bene ricostruisce, tramite i dialoghi con gli amici del circolo di Trotta, le ragioni per cui l’Impero ha iniziato a incrinarsi.
L’anima dell’Austria non è il centro, ma la periferia. L’Austria non bisogna cercarla nelle Alpi, dove hanno camosci e stelle alpine e genziana, ma neppure un’idea di cosa sia l’aquila bicipite. La sostanza dell’Austria viene nutrita e incessantemente rigenerata dai territori della Corona.
– La cripta dei cappuccini di Joseph Roth
Sono di questa opinione Trotta e i suoi amici, e sembra essere questa la ragione per cui Roth introduce nel romanzo i personaggi: Joseph Branco e Mesner Rieseger. Quelli che diventeranno amici, e compagni di sciagura in guerra, provengono entrambi dalle periferie dell’impero, anche se da posti diversi. Il contadino e venditore ambulante di caldarroste Joseph Branco è sloveno, il carrettiere Mesner Rieseger è un galiziano ebreo (come Roth). Trotta, ma anche i suoi amici viennesi, subiscono il fascino dei paesani di provincia, più veraci degli stessi viennesi.
Ecco giustificato quel viaggio di Trotta a Zlotogrod, dove si trova quando scoppia la guerra. Anche le terre di periferia lo affascinano perché danno allo stesso tempo l’impressione di visitare posti nuovi restando a casa. La magia del vecchio impero austro-ungarico che aveva saputo unire luoghi, etnie e religioni. Le geografie cambiano, ma le strutture sociali imposte dall’impero restano e fungono da bussola per i cittadini viennesi.
Ed forse il senno di poi ad avvolgere i due paesi degli amici in un’aura di esaltata malinconia. Con la caduta della monarchia e la dissoluzione dell’impero anche i due paesi sono destinati a perire. Di loro resta il nostalgico ricordo che Joseph Roth, orfano di quelle terre, ha voluto regalargli.
Titolo: La cripta dei cappuccini
Autore: Joseph Roth
Edizione Originale: Die Kapuzinergruft, Allert De Lange Amsterdam
Edizione italiana: Adelphi
Numero pagine: 195