A Walter Benjamin, che in fuga
da Hitler si tolse la vita
Tattica di logoramento era quella
che ti piaceva usare alla scacchiera
seduto all’ombra del pero.
Il nemico che ti aveva scacciato
lontano dai tuoi libri
non si lascia logorare
da quelli come noi.
Bertold Brecht
Walter Benjamin e Bertold Brecht: la foto con il gioco degli scacchi
Walter Benjamin è chino, lo sguardo fisso sulla scacchiera, di fronte a lui un Brecht sornione, con un sigaro in mano guarda diritto nell’obiettivo. È Brecht ad aver mosso il primo pedone, ha gli scacchi bianchi, ora è il turno di Benjamin. Quest’ultimo pensa e ripensa alla mossa successiva, forse si immagina un corso della partita alternativo sulla scacchiera, se solo avesse giocato diversamente, ma soprattutto si lascia tempo per vagliare tutte le possibili mosse e lo loro conseguenze, finché tempo non ne ha più.
Questa foto, che fa parte degli Archivi di Bertold Brecht di proprietà della Akademie der Künste di Berlino, ritrae due grandi intellettuali del secolo scorso impegnati nella prassi umana del gioco. Per due volte mi sono ritrovata di fronte a questa testimonianza del passato, grazie a due differenti esposizioni temporanee degli archivi, altrimenti non visionabili a Berlino. In entrambe le occasioni, una delle quali celebrava proprio l’amicizia tra i due, mi sono immersa in questa scena di quotidiana. In una partita a scacchi che nell’universo benjaminiano assurge a simbolo.
Storia di un’amicizia
Benjamin e Brecht si erano conosciuti proprio in Italia, durante il loro soggiorno a Capri nel ‘24. Fu Asja Lacis, amica comune (e per Benjamin qualcosa in più), a presentarli, sotto insistente richiesta di Benjamin, per quanto ci è dato sapere dalla stessa Lacis. I due diventarono amici solo in seguito. Benjamin soggiornò da Brecht in Danimarca più volte, questa foto in particolare risale al suo soggiorno del ‘34.
I due intellettuali, diversi nel carattere, ma uniti da “quel nemico comune che non si lascia logorare”, ripararono in esilio: Brecht in Danimarca, Benjamin a Parigi. Questa partita con la vita la vinse solo Brecht. Benjamin dopo troppe indecisioni e occasione perse – come quella di rifugiarsi in Palestina sotto invito dell’amico Gershom Scholem – si trovò impigliato nell’attesa.
L’atteso visto per l’America – procuratogli dai membri della scuola di Francoforte già in esilio in America – tardò ad arrivare e Benjamin, sentendosi ormai in scacco, decise di chiudere la partita sotto i suoi termini. Si tolse la vita sulla frontiera spagnola, dove era stato fermato, non vedendo che c’era un’altra possibilità. Il gruppo con cui aveva viaggiato in fuga verso l’America, ebbe, infatti, il giorno dopo la sua morte, il permesso per proseguire.
L’allegoria degli scacchi nelle tesi Sul concetto di storia
È noto che sarebbe esistito un automa costruito in modo tale da reagire ad ogni mossa di un giocatore di scacchi con una contromossa che gli assicurava la vittoria. Un manichino vestito da turco, con un narghilè in bocca, sedeva davanti alla scacchiera, posta su un ampio tavolo. Con un sistema di specchi veniva data l’impressione che vi si potesse guardare attraverso da ogni lato. In verità c’era seduto dentro un nano gobbo, maestro nel gioco degli scacchi, che guidava per mezzo dei fili la mano del manichino.
Un corrispettivo di questo congegno si può immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il manichino detto «materialismo storico». Esso può competere senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è a tutti noto, è piccola e brutta, e tra l’altro non deve lasciarsi vedere.
Walter Benjamin Sul Concetto di Storia
Walter Benjamin usa questa allegoria della partita di scacchi per aprire Sul concetto di Storia. Qui, la partita a scacchi si gioca tra il concetto di storia del materialismo storico e quello di tutte le altre teorie di scuole di pensiero diverso, tra cui quello dell’idealismo hegeliano. Benjamin – al contrario dell’amico Brecht, un convinto marxista – se pur vicino al marxismo, ne nota i limiti, che stanno naturalmente anche nel non aver saputo/potuto fronteggiare il nazismo imperante in Europa. Nell’allegoria lo designa appunto come manichino inerme senza la teologia, ma a sua volta “la teologia è brutta e va nascosta”.
È piuttosto una nuova idea di teologia come messianismo, derivante dalla tradizione ebraica, che Walter Benjamin ha in mente. Il ruolo di questo messianismo è quindi quello di supporto al marxismo storico, insieme devono vincere la partita, tanto filosofica che politica, del riscrivere la storia dal punto di vista degli oppressi. Una storia non lineare e progressiva, come racconta la storia dei vincitori, ma discontinua. La forza messianica, che ogni generazione possiede, agisce in questa discontinuità, nelle cesure delle epoche mostra le possibilità non realizzate e redimere il passato rendendolo attuale.
L’attesa messianica
La simbolica partita a scacchi mette in luce vari aspetti dell’universo benjaminiano: il suo metodo, il suo pensiero, la sua vita. Tutti questi sono caratterizzati da un continuo arresto, proprio come quello che riesce a cogliere la fotografia in questione, carico di tensione fra un voler andare avanti compiendo la giusta mossa e un guardarsi indietro alle mosse compiute, alle decisioni prese o non prese. Nel mezzo l’attesa della redenzione, come riscatto del passato nelle sue possibilità non realizzate.
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