Ohran Pamuk: Il museo dell’innocenza

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Trama – Primavera del 1975, Istanbul. In questo tempo e spazio nella Storia prendono avvio le vicende narrate nel romanzo Il Museo dell’Innocenza. Il protagonista è Kemal, un giovane uomo di 30 anni dell’alta società. Un giorno, entrando in una boutique per acquistare una borsa, riconosce nella commessa del negozio una sua lontana parente acquisita: Füsun. Kemal rimane subito colpito dalla bellezza dell’appena 18enne Füsun. Sebbene l‘uomo sia già legato ad un’altra donna, a cui di fatti era destinato l’acquisto della borsa, i due iniziano subito una relazione clandestina che sfocia ben presto in un amore profondo. Nonostante Kamel si accorga di non poter più fare a meno di lei, non pensa nemmeno per un attimo di troncare la sua relazione con Sibel, una colta e raffinata donna figlia di un diplomatico, per poter vivere a pieno la sua storia con la bella e povera Füsun. Tanto che, come pianificato, Kemal e Sibel si fidanzano ufficialmente con tanto di sfarzoso ricevimento all’Hilton sotto gli occhi della stessa Füsun. Quest’ultima, dopo la festa di fidanzamento, sparirà senza lasciare traccia di sé, lasciando Kemal nello sconforto più assoluto. Sarà a questo punto che Kemal, per cercare un po‘ di sollievo alle terribili pene d’amore che lo travolgono, si rifugerà nell’appartamento in cui aveva consumato il suo amore con Füsun e si circonderà degli oggetti che lei aveva posseduto, o anche solo toccato, dando così inizio alla sua ossessione per l’amata e per gli oggetti che gliela ricordano.

Lo stile, la metaletteratura

Pamuk, come in altri suoi libri (vedi Neve), è parte integrante della storia, quasi a voler lasciare la sua firma d’autore come aveva fatto, sul piano cinematografico il regista Hitchcock. Lo scrittore si inserisce, questa volta, in un quadro del tutto particolare ed originale. Nel corso della narrazione de Il museo dell’Innocenza l’io narrante si rivolge costantemente ad un visitatore a cui sembra voler mostrare gli oggetti esposti in un museo; oggetti che sono strettamente legati alla trama narrativa del romanzo. Questa voce narrante è pienamente consapevole della sua ossessione e sembra a più riprese volersi giustificare con il lettore/visitatore.

Come in un gioco di matrioske il lettore scopre alla fine una storia nella storia. L’io narrante è lo stesso autore a cui, nel romanzo, è stata commissionata la scrittura della storia, che deve diventare una sorta di catalogo del museo. Per scriverla, l’autore assume la prospettiva del protagonista in prima persona, prendendone il posto, com’è suo tratto caratteristico. Pamuk scopre, così, la finzione del romanzo solo per poi ricoprirla con un’altra finzione.

Il Museo dell’Innocenza tra Arte e Letteratura

Il museo dell’innocenza è probabilmente il progetto più ambizioso di Ohran Pamuk. Senz’altro il più originale. L’autore ci ha lavorato per molti anni coniugando le sue due grandi passioni: la scrittura e l‘arte. Pamuk, infatti, oltre ad avere studiato Architettura, è un appassionato collezionista. Sua è la collezione esibita nell‘omonimo museo nel quartiere di Çukurcuma ad Istanbul, aperto nel 2012 appunto dall’autore stesso.

Come ha dichiarato lui stesso in un’intervista, l’ideazione/realizzazione del libro e del museo nascono insieme e vanno di pari passo. Gli 83 capitoli del libro si riflettono nelle 83 vetrine in cui sono esposti gli oggetti del museo. Gli oggetti in se stessi – che vanno dai mozziconi di sigaretta (fumati da Füsun nel romanzo), a paia di orecchini, bottiglie vuote, manifesti pubblicitari, locandine di film e cartoline di Istanbul – ci raccontano, come nel libro, di un’Istanbul malinconica, povera e maltrattata ma allo stesso tempo ricca di vita e fascino. Un’Istanbul persa per sempre.

A suggellare ulteriormente questo connubio tra il progetto editoriale e quello artistico, è riportato, nella parte finale del romanzo, un biglietto che vale per un‘entrata gratuita al museo.

I musei in generale costituiscono una parte importante del libro. Kemal/Pamuk ne visita tantissimi in tutto il mondo, traendone ispirazione per il suo museo. Tra i musei citati compaiono anche alcuni italiani, tra cu il museo studio Mario Praz di Roma e la casa museo Bagatti Valsecchi di Milano. Quest’ultimo ha ospitato nel 2018 una mostra temporanea proprio degli oggetti de Il Museo dell’innocenza di Pamuk.

Cinema, gergo e società a Istanbul

Più che la storia d’amore/ossessione tra Kemal e Füsun, che a tratti – come la trama – risulta unilaterale e monotona e, se vogliamo, anche intenzionalmente discutibile, ho apprezzato molto lo sforzo dell’autore nel voler ricostruire la quotidianità della vita ad Istanbul tra gli anni ’70 e ’80. Il romanzo è intarsiato dal gergo dell’epoca e dai modi di dire in voga che, apparivano su giornali e riviste a imitazione del mondo occidentale e venivano poi adottati dall’alta società turca. Se all’inizio della storia è proprio la vita di questo ceto privilegiato in primo piano – con i suoi locali alla moda, e le “preoccupazioni” di dover ricercare di contrabbando gli alcolici (altrimenti proibiti in uno stato islamico) da offrire abbondantemente alle tante feste in stile occidentale – nella seconda parte de Il Museo dell’innocenza, quando Kemal si riavvicina a Füsun, entra a far parte di un mondo modesto e umile, anche se non propriamente povero. Da qui in poi lo scenario cambia e ci troviamo di fronte a una realtà fatta di difficoltà concrete, come le alluvioni delle case a piano terra quando pioveva a causa dei sistemi fognari malfunzionanti, o la mancanza d’acqua corrente per giornate intere.

La televisione e il cinema sono un‘altra costellazione all’interno del romanzo e del museo, a loro è dedicata una vetrina con locandine dell’epoca. Attraverso questa costellazione abbiamo una lente con cui guardare alla società del tempo. Con film del genere alla Sedotta e abbandonata, che venivano proiettati nei cinema all’aperto solo dopo aver passato una rigorosa censura, possiamo farci un’idea di quanto forte e radicato fosse nella Turchia di fine anni Settanta – quando l’Occidente aveva vissuto già da un pezzo la sua rivoluzione sessuale – il tema legato al disonore delle donne che si erano concesse all’amato prima del matrimonio.

I tabù sociali

Attraverso Kemal, Pamuk fornisce un’accurata analisi, che lui stesso definisce antropologica, della situazione delle ragazze che avevano rapporti prematrimoniali. Termini come “disonorate”, “sedotte”, “private del tesoro più prezioso” erano quelli usati per definire le giovani. A questo si aggiunge, ancora una volta, una distinzione di classe. La perdita della verginità nelle ragazze di famiglia ricca e istruita, che magari avevano studiato all’estero, era tacitamente accettata nell’alta società, a condizione che fosse già in vista il matrimonio. Veniva in qualche modo vista come simbolo di modernismo e emancipazione, sull’orma delle europee. Nelle ragazze povere, al contrario, la perdita della verginità restava una macchia di disonore, a cui si doveva tamponare con un matrimonio riparatore. Ancora una volta si applicano due pesi e due misure.

Un amore ossessivo

Nonostante Kemal si senta in colpa per la situazione in cui ha messo Füsun (non altrettanto per Sibel) e si professi per tutta la sua vita innamorato, di un amore profondo e sacro, quello che emerge è un amore malato ed ossessivo. Kemal, in fondo, vuole possedere Füsun alla stregua di oggetto sessuale proprio come possiede gli altri oggetti che colleziona. Füsun non ha una sua voce, se non sporadicamente. Tenta di ribellarsi agli uomini vogliosi che le si avvicinano, cerca di imporsi e di imporre il suo sogno di intraprendere una carriera da attrice, ma inerme cade vittima del sistema maschilista che la circonda.

Simbolismo e ritualità

Il museo dell’Innocenza è pervaso dalla ritualità: dalle feste, alle tombole, all’orologio a pendolo fino alla mania di sottrarre oggetti dalla casa di Füsun. I semplici gesti di Füsun che tocca un oggetto o spegne una sigaretta, che si ripetono uguali a se stessi ma sempre diversi nello spazio d’azione, in quell’agio che offrono all’interpretazione, acquistano la sacralità del rito.

In questo gioco di simbolismo e ritualità si nasconde una delle poche volte che Füsun agisce nel romanzo come soggetto attivo. È probabilmente da questa frase di Füsun, che Kemal prenderà alla lettera, che si dipana il romanzo:

Quando perdiamo le persone che amiamo, non dobbiamo molestarle… un oggetto che ce le ricordi, che so, un orecchino, può consolarci molto meglio e per più tempo.

In quello stesso orecchino che aveva perso, mentre facevano l’amore, e che per Kemal funge da oggetto consolatorio, Füsun sembra vedere il simbolo dell’innocenza perduta. L’onore può esserle ridato solo con la restituzione dell’orecchino in presenza della sua famiglia, infatti, li rindossa solo  a fidanzamento avvenuto. Da qui si capisce la tragicità con cui Füsun accoglie il fatto che Kemal non si accorga degli orecchini e si concentri su di lei, ancora una volta, come oggetto sessuale.

La felicità

Nonostante “la malattia” di Kemal e la pesantezza di alcuni passaggi che ruotano a vuoto attorno a se stessi, l’autore sembra voler far trapelare un messaggio di positività. Come in un cerchio in cui inizio e fine si confondono, l’inizio e la fine di questo romanzo, dalla trama circolare, si ricongiungono nell’espressione di un identico concetto: la felicità.

Incipit: “Era l‘istante più felice della mia vita e non me ne rendevo conto.”

Conclusione del romanzo: “Tutti devono saperlo; ho avuto una vita felice.”

Per approfondire e “visitare” il museo dell’Innocenza:

Sito ufficiale del museo dell’Innocenza di Istanbul

Articolo sulla mostra di Pamuk alla casa museo Bagatti Valsecchi di Milano -2018