Trama – Con Il male che non c’è Giulia Caminito torna, dopo tre anni dal successo di L’acqua del lago non è mai dolce, a parlare dei millennials, della generazione che non riesce a diventare adulta, intrappolata in un Peter Panismo in cui può solo essere figlia.
Questo è Loris. Un millennial, un figlio disfunzionale. Ha 30 anni ma la vita adulta con le sue responsabilità – che pur sembra a portata di mano quando osserva Jo, la sua ragazza dai tempi del liceo – a lui sfugge di mano come le redini di un cavallo che non si riesce a domare. È innanzitutto la precarietà economica a levargli la terra da sotto i piedi. Il suo lavoro come stagista in una casa editrice di Roma viene remunerato male e a fasi alterne.
L’affitto, troppo costoso, dell’appartamento a piano rialzato, gli viene generosamente offerto dal padre, anche se quest’ultimo non manca di ricordarglielo nelle loro eterne discussioni. Sandro è un uomo risoluto, un’altra generazione, cerca di scuoterlo quel figlio che non vuole o che non sa come crescere. Gli offre una rete di sicurezza, un lavoro stabile, una vita da adulto, ma Loris non è ancora pronto a saltare.
La precarietà lavorativa si riflette in quella sentimentale. La relazione con Jo si trascina per abitudine, per il ricordo di anni felici ma passati. Jo e Loris, d’altronde, hanno pochissimo in comune, non sono mai arrivati a fare il passo di andare a vivere insieme e si direbbe che condividano solo lo stesso quartiere di provincia in cui sono nati e l’età, nient’altro che un numero convenzionale nel loro caso.
Pur essendo coetanei, la loro forma fisica racconta una storia diversa. Jo è dinamica, sportiva, tonica, si assume gli oneri della vita lavorativa adulta, ma conserva il fisico di una ragazzina. Loris è l’opposto. Un corpo che duole, che invecchia in uno spirito che non ha saputo spiccare il volo.
È quel corpo che lo preoccupa. Come uno speleologo in esplorazione in una caverna, ne tasta la consistenza, ne sonda gli anfratti alla ricerca di una possibile causa a cui imputare i suoi mali. Loris si perde così nella ricerca di un male che non c’è.
La sua ricerca affannosa, estenuante, asfissiante è alimentata da un binomio di realtà/irrealtà virtuale. Da una parte una realtà, spesso irreale ma condivisa, su internet con i suoi innumerevoli forum a sfondo medico, i video di gente malata che racconta il suo calvario; dall’altra una visione reale solo nel privato della sua psiche: Catastrofe, una figura dalle sembianze mutevoli che appare a Loris nei momenti di crisi. Entrambi offrono al nostro protagonista l’humus per far crescere a dismisura la sua ipocondria.
Una domanda prende forma fin dalle prime pagine de Il male che non c’è: Questa sua ipocondria vuole essere lo specchio di un disagio generazionale o il nodo di un passato personale irrisolto? La narrazione parallela del passato di Loris, che si alterna al suo presente, sembra far propendere per la seconda via.
Recensione
Dal dramma del non avere al mal di vivere
Arriva un po’ a sorpresa questo nuovo libro di Giulia Caminito. Radicalmente altro dal suo precedente L’acqua del lago non è mai dolce, dove il male c’era, il dramma del non avere era reale e palpabile. C’è qualcosa che li unisce, però, da una parte quella scrittura piana, scarna di subordinate, che ama mettere sullo stesso piano le frasi e si trasforma spesso in elenchi di parole. In questo caso sono un elenco di sintomi, di malattie.
D’altra parte, è il malessere, e soprattutto la precarietà di una generazione, a fare da collante. In questo senso Loris è quasi il prolungamento di Gaia, del suo futuro da precaria che non ci è dato vedere.
Ma se con il senso di precarietà e il ritorno al grembo materno, Loris sembra rappresentare bene i momenti di crisi che la nostra generazione ha vissuto e vive, con l’ipocondria parla di un caso specifico. Di un malato immaginario poco presente nella letteratura e che la Caminito descrive alla perfezione. È nella prospettiva più ampia della salute mentale che si può riacciuffare il caso di Loris e ascriverlo ad un contesto più generale del male di vivere: lo stress, l’ansia, la depressione, la paura di rimanere indietro e diventare uno spettatore che vede gli altri vivere.
Se è vero che il Male non c’è, c’è però il malessere, questo incombe come un’ombra massiccia attraverso i social network e si fa cosa viva nella personificazione di Catastrofe.
Loris, così come anche Gaia, risulta un personaggio spigoloso, difficile da amare. Ma che si può comprendere.
Scorrendo sul telefono nel feed dei social network, appaiono e scompaiono le facce di quelli che conosce ma che gli risultano ormai bidimensionali, li vede solo così, come volti dalle luci modificate, sistemati in posa dietro ai filtri fotografici a inneggiare a una partita di calcio, a mostrare i pesi che sollevano in palestra, a camminare tra i boschi con lo zaino da trekking, a festeggiare la fine dell’inverno.
Loris si ritrova a contemplare chi ha già partorito, chi è pronto al matrimonio, chi sta facendo il trasloco e riordina la nuova libreria. Da quelle facce pare che ognuno di loro sia tutto e lui niente, che la fuori ci sia un brulicare di vita incessante e lui abbia fatto un balzo dall’altra parte, dove le cose stanno ferme.
E lo sa benissimo che dietro ogni immagine si cela la difficoltà, la parzialità, la bugia, ma è una vita che Loris si nutre di immagini, di invenzioni, di storie, e ora vive a pieno la sua disavventura, dove lui è il centro di tutto, lui l’unico che soffre, lui l’unico che non riesce a stare dentro alle maglie strette della società, lui che è sempre pessimista, è sempre ammalato, non è reperibile, dà buca, si sottrae, fa il prezioso, non vale neanche più la pena di cercarlo.
Catastrofe bussa dall’armadio e fa una voce piccola, da bambina, chiede di uscire.
Ancora no risponde Loris.
L’ossessione gira a vuoto ne Il male che non c’è
Il male che non c’è, per un certo verso, promette ma non mantiene. Sembra voler svelare l’arcano dietro l’insoddisfazione di una generazione o almeno giustificare, a livello privato, le stranezze dietro i comportamenti del protagonista, ma da lettrice mi sono trovata in attesa di un evento che non arriverà. La mancanza di un evento centrale, dirompente, davvero carico di significato, lascia la trama svuotata, girare su stessa.
L’ossessione è la cifra de Il male che non c’è, quella patologica che si ripete sempre uguale a se stessa all’infinito. Quella per le malattie, ma anche per la lettura. Con gli stessi libri Loris ha un rapporto malsano. I libri più che essere celebrati, più che rappresentare il simbolo di una passione, vengono ingurgitati da Loris ossessivamente. Non è lo svago o l’ebbrezza della scoperta a trascinare Loris nella lettura, quanto piuttosto lo sfinimento del macinare parole di ogni genere, comporre liste in cui le parole si succedono.
Loris non riscatta i libri dall’industria culturale rappresentata dalla casa editrice romana in difficoltà economiche, diretta da un ex calciatore troppo abbronzato e probabilmente poco interessato alla lettura.
Nonno Tempesta
Tempesta è un punto fermo nella vita di Loris, che si eclissa lasciandogli un vuoto non colmabile. Un nonno presente e amorevole che ama trascorrere le sue giornate in giardino a coltivare l’orto, a costruire una voliera per diletto suo e del nipote. A lui è dedicata una parte de Il male che non c’è, quando la narrazione riacciuffa il passato bucolico di Loris. A lui, al nonno dell’autrice di cui lei porta il nome, è dedicato l’intero Il male che non c’è, e questa volta è la stessa Giulia Caminito ad emergere dalla finzione letteraria.
È con la presenza viva del nonno, nonostante l’assenza, nell’immagine di una casa che ha resistito alle intemperie del tempo, che forse Loris potrà trovare un modo di nutrire quell’embrione di passerotto, che non aveva potuto farsi adulto, e riuscire così a prendere il volo.
Gli ricordava che nonostante gli urti e le perdite c’era sempre una parte che resisteva, che non si faceva distruggere e che poteva trovare nuova vita, un posto imprevedibile dove continuare a esistere.
Giulia Caminito
Giulia Caminito è un’autrice romana nata nel 1988. Ha studiato Filosofia politica. Il male che non c’è è il suo quarto romanzo. Oltre al suo precedente L’acqua del lago non è mai dolce, con il quale si è aggiudicata il Premio Campiello (2021) oltre ad essere arrivata tra i finalisti del Premio Strega, ha pubblicato La grande A, il suo romanzo d’esordio del 2016, e Un Giorno verrà (2019) per il quale ha ricevuto il Premio Fiesole. Ha inoltre scritto di versi racconti. Giulia Caminito, inoltre, lavora nel mondo dell’editoria e collabora con riviste e quotidiani.
Titolo: Il male che non c’è
Autore: Giulia Caminito
Casa Editrice: Bompiani, Milano.
Anno di pubblicazione: 2024
Numero di Pagine: 269
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