Mi immergo nella lettura di Le piccole Memorie con il garbo e il batticuore di chi vuole entrare in una casa in punta di piedi, ma senza bussare. La casa è quella di uno dei più grandi scrittori del secolo scorso. È una dimora dimessa e rurale, in campagna, presso Azinhaga ed esiste ancora solo nelle memorie di questo libro. Presto mi accorgo che non c’è bisogno di bussare a quella porta piena di fessure, che lascia trapelare il freddo. José Saramago ci aspetta sulla soglia, pronto più che mai ad accompagnare il lettore in questo viaggio nella memoria e nei luoghi della sua infanzia.
Fu in questi luoghi che venni al mondo, fu da qui, quando ancora non avevo due anni, che i miei genitori, migranti spinti dalla necessità, mi portarono a Lisbona, ad altri modi di sentire, pensare e vivere, come se nascere dove io sono nato fosse stata la conseguenza di un equivoco del caso, di una casuale distrazione del destino che ancora fosse in loro potere correggere. Non fu così. Senza che nessuno se ne fosse accorto, il bambino aveva già prolungato viticci e radici, la fragile semente che ero io allora aveva avuto il tempo di calpestare il suolo argilloso con i suoi piedi minuscoli e malfermi, per riceverne, indelebilmente, il marchio originale della terra.
Trama – L’inizio è la casa dei nonni materni, perché nonostante sia più che altro un rudere composto solo da due grandi stanzoni spogli e freddi, rimarrà per Saramago la Casa, o, meglio, il Casalinho. Lui che di case ne ha cambiate tante – 10 solo nei suoi primi 10 anni di vita a Lisbona, stanze condivise agli ultimi piani, con il tetto spiovente, per risparmiare il poco che non si aveva – ritorna in queste piccole memorie a quel luogo originario. Origine del suo essere e delle sue esperienze con l’assoluto, nei momenti in cui ragazzino, guardando il chiaro di luna si sentiva un tutt’uno con la natura.
A tratti, i ricordi affiorano a fatica, si avverte lo sforzo dell’anziano autore che cerca di ripescare le immagini, i colori, i nomi per poterli imprimere su carta ed assicurare così la loro immortalità. Almeno quella dei ricordi è preservata. Se non altro, la breve vita del suo fratellino, morto a soli quattro anni di polmonite, è riscattata dall’eterno oblio.
Segue vie tortuose questo viaggio nei meandri della mente, si muove a zig zag, in cerchio, niente di lineare e, insieme, niente di diverso ci si può aspettare da un sentiero campestre nato per la sola forza della natura. La campagna si mescola alla città, le diverse abitazioni si sovrappongono, vissuto e immaginato (o almeno quello che si crede di aver vissuto) si confondono. Tira al filo della matassa ingarbugliata ed è la sua vita che si ritrova tra le dita, ne resta ancora ben poca da vivere. Ha 84 anni Josè Saramago quando confida ai lettori questo suo piccolo testamento.
Ci confessa la sua paura mai superata per i cani, derivatagli da un cane dei vicini lasciatogli sadicamente, da questi, ringhiare contro, e la cocente delusione nei confronti dello zio guardiano di terreni che mai gli offri quel tanto agognato, eppur così a portata di mano, giro sul cavallo. Racconta il mondo dei grandi attraverso gli occhi del ragazzino che fu, e coperta appena da un velo di ironia emerge una tristezza primordiale. Per i tempi che furono e nei confronti di quel tocco di cattiveria, già da sempre lì negli esseri umani, tanto da grandi quanto da bambini, che ha sempre saputo tematizzare così bene nelle sue opere.
Le piccole memorie si rivelano anche un’occasione per svelarci la sua officina letteraria, gli episodi di vissuto che hanno influenzato la genesi dei suoi capolavori. Scopriamo che la gemmazione di Cecità, era iniziata già nella sua adolescenza, l’aver conosciuto un ragazzo cieco e avergli associato delle sensazioni di sporcizia e tristezza, forse a causa della trascuratezza a cui la sua condizione lo condannava, determinerà il corso della sua futura opera. Così come Tutti i nomi porta il marchio delle sue ricerche all’anagrafe per stabilire la data precisa della morte di suo fratello. Dietro tutto l’amore per la decifrazione delle lettere che lo conquistò fin da bambino e sarà, poi, la cifra del suo riscatto sociale.
Lo stile di José Saramago ne Le piccole memorie
Lo stile del maestro dell’arte della scrittura, premio Nobel nel 1998, trasuda in ogni frase di queste memorie con il suo periodare lungo e riflessivo. Si indirizza al lettore, dice di voler raccontare quello che ha vissuto e non fare letteratura di ciò, ma già nel momento in cui posa la sua piuma sulla pagina, il suo stile inimitabile si trasforma in letteratura. Nella loro semplicità le frasi sono cariche di pathos poetico e ogni paragrafo si conclude con una stoccata, una semplice riflessione etica che arriva diretta al cuore dell’umanità
Il palloncino si era sgonfiato, io lo stavo trascinando per terra senza accorgermene, era una cosa sudicia, corrugata, informe, e due uomini che camminavano dietro ridevano e indicavano con il dito me, proprio me, in quella occasione l’essere più ridicolo della specie umana. Non piansi neppure. Lasciai andare la cordicella, mi aggrappai al braccio di mia madre come se fosse un’ancora di salvezza e continuai a camminare. Quella cosa sudicia, corrugata e informe era davvero il mondo.
Le piccole memorie
La sua sensibilità mi ferisce, l’intimità dei suoi momenti vissuti mi inibisce, ma procedo nel viaggio, avvolta da una dolce sensazione di calore umano. Tra malinconia e dolore mi riconosco umana. E allora mi rituffo nel passato delle memorie altrui.
Titolo: Le piccole memorie
Autore: José Saramago
Edizione originale:As pequenas memórias, José Saramago & Editorial Caminho SA, Lisboa, 2006
Edizione italiana: Einaudi, 2007
Numero pagine: 120