
La ferita era guarita con una cicatrice lineare, e in quel punto aveva perso per sempre la sensibilità, come se l’anestesia si fosse fatta eterna. Forse è così che si supera il dolore, rimuovendolo insieme a quello che gli sta intorno, insieme a ogni altra sensazione.
– Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia
Siamo abituati a dire che restiamo senza parole quando la vita ci mette di fronte ad una serie di emozioni: la meraviglia, la sorpresa, lo shock, il dolore. Ma cosa vuol dire restare senza parole? Le parole sono sempre al loro posto: calde e rassicuranti, in alcuni casi, fredde e distruttive, in altri. Forse quello che vogliamo esprimere, usando questo modo di dire, è l’insormontabile disparità tra il nostro sentire e la lingua.
Come possono, infatti, questi mattoncini convenzionali e quotidiani, che chiamiamo parole, farsi così grandi e totalizzanti da arrivare ad abbracciare il dolore più insopportabile. Quello di una madre e di un padre per la perdita di un figlio, per esempio. Il dolore, forse, lo possono raccontare per metafore, ma non c’è nessuna formula magica che si possa dire, o dirsi, per farlo scomparire.
Ma se le parole, nostre alleate e nostre nemiche, falliscono davanti alle tragedie, cosa resta? Michele Ruol fa un elenco, o meglio, un inventario delle cose materiali che resistono all’incuria del tempo, che sopravvivono alla vita stessa. E se fossero proprio loro, le cose che restano a raccontarci la tragedia?
Trama – Genitorie due figli: Padre, Madre, Maggiore e Minore. Una famiglia che sarebbe potuta comparire sulle vecchie pubblicità della Mulino Bianco. Nessun nome proprio, solo una famiglia tipo perfetta nella sua imperfezione. Un nucleo che c’era, finché non c’è stato più. Il momento della rottura, quella brutale e definitiva, è segnato da un incidente d’auto che strappa le giovani vite di Maggiore e Minore. Seppur artefice dello sfascio, non è l’incidente il centro della narrazione, le dinamiche di questo verranno rivelate solo alla fine. Quello con cui si scontra il lettore fin dalle prime pagine è la desolazione del dopo per quelli che restano Madre e Padre.
I giorni immediatamente successivi all’incidente e poi un anno dopo, due anni dopo … fino ai successivi 18 anni, sono narrati in ordine sparso, ma accomunati tutti da un calendario istituito per segnare la perdita come il nuovo anno zero. Insieme a questa dimensione temporale, si affaccia sullo scenario del disastro quella spaziale. Scorcio dopo scorcio appaiono al lettore i luoghi, eretti a santuari dei tempi perduti. È questa dimensione spaziale, con gli oggetti che ospita, a raccontare la vita com’era e com’è dopo: decadente e immobile, quasi sospesa. Soprattutto è questo inventario degli oggetti – 99 tra oggetti di uso comune a pezzi di arredamento compresi nella macrocategoria della casa e in quella della macchina stessa – a stabilire l’ordine della narrazione.
Il lettore scoprirà così che quella casa in disfacimento presentava già delle crepe, lungamente ignorate da Padre e Madre. Piccole e grandi incomprensioni, leggeri e più seri esaurimenti e un dilagante non-detto. Quello che si insinua nei rapporti umani e non risparmia certo le famiglie. Proprio questo non detto, dopo la morte dei due giovani, si fa terreno comune tra Madre e Padre, che eppure devono trovare un modo per continuare a vivere. Forse insieme, i due sopravvissuti alla propria Apocalisse personale, potranno trovarlo.
Il linguaggio delle cose
Ha un tocco di originalità Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia, quella che gli viene conferita dall’aver saputo trovare una prospettiva differente, un angolo poco utilizzato nella narrativa. Un esempio illustre è quello di Ohran Pamuk che con il suo Il museo dell’innocenza aveva legato oggetti e narrazione.
Quella di Michele Ruol, anestesista e scrittore di drammi teatrali, si rivela un’operazione ben riuscita. Il suo messaggio sembra essere: dove le parole falliscono, ecco farsi strada il linguaggio delle cose, quello di una cornice d’argento, quello di un tappeto, e ancora quello di un orologio da polso.
Ruol fa appello a questa terra di nessuno che racconta i fatti, senza implicare le emozioni. Ma per un rapporto inversamente proporzionale il prodotto finale è quello opposto. L’effetto estraniante ed anestetizzante che dovrebbe provenire dal racconto attraverso gli oggetti e dalla spersonalizzazione dei personaggi, a cui manca un nome proprio, non fa che amplificare il senso di intimità. Il risultato è che Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia è un libro fin troppo intimo, di un’intimità che sembra rubata da uno sguardo voyeuristico che guarda alla privata quotidianità di una famiglia. Una famiglia in fermo immagine, addormentata assieme al resto del castello proprio come nella storia de La bella Addormentata.
Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia di Michele Ruol ha vinto diversi premi, tra cui il Premio Venetarium Labomar e quello della Fondazione Megamark, ed è nella cinquina dei finalisti del Premio Strega 2025.
Scheda del libro Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia

Autore: Michele Ruol
Titolo: Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia
Casa editrice: TerraRossa Edizioni
Anno di pubblicazione: 2024
Numero di pagine: 208